Le ricette che seguiranno sono quelle tipiche di un pranzo umbro, anzi eugubino, per quando viene Qualcuno.
Il mitico Qualcuno non è un essere reale; è piuttosto un’entità metafisica, un’idea platonica. In nome di questo fantomatico Qualcuno venivano fatte cose assurde dalle donne di casa: arieggiare stanze dove nessuno stava mai e sprimacciarne i cuscini; lavare le cristallerie; assortire e nascondere scorte di nocino e cioccolatini. Noi bambini ci chiedevamo se questo Qualcuno non fosse piuttosto legione, o esercito.
Quando poi il Qualcuno arrivava, e si trattava di zie remote dalle plaghe di Spello, o di cugini di undicesimo grado dalle campagne di Montanaldo, ebbene, quando costui si materializzava, la Eva, aiuto domestico di mia madre, arrossiva e si affannava qua e là perché
-Non c’è niente da offrire-
Questo se accadeva per merenda.
(N.B. In Umbria gli inviti importanti e più graditi si facevano per pranzo o per una merenda sul tardi, molto sostanziosa, con torte salate, prima che l’ospite ripartisse per le sue plaghe. A cena l’invito era solo per gli intimi di casa, in quanto pasto tradizionalmente più leggero.)
Ma se l’invito era a pranzo, allora era un’altra faccenda Intanto si preparava il menu tenendo presente alcune regole fondamentali:
1) non si deve accoppare l’ospite.
Vale a dire, se per primo c’è una carbonara, non puoi servire per dolce una crema. Ergo: mai le uova due volte nello stesso pasto. (le uova a casa nostra erano viste come un cibo demoniaco e fatato al tempo stesso: bisognava aver sapienza per usarle nel modo giusto).
2) il piatto forte è il secondo, quindi la carne (non essendo il pesce ontologicamente contemplato nei menu possibili). Come tale, il pezzo si deve vedere. Quindi niente cotolette, o, peggio ancora, tritato, in modo che Qualcuno apprezzi il taglio magro della fetta. Un arrosto è la cosa migliore, possibilmente girello o lonza (arista)
3) il contorno non ha importanza. Basta un’insalata.
4) Gli antipasti sono cretinate e tolgono appetito alla meraviglia del primo e del secondo piatto.
In pratica il menu consisteva in un primo piatto forte, un secondo di carne fortissimo, un’insalata, dolce e frutta.
Questo nella mia famiglia di origine. Ma ho sposato un siciliano e ho vissuto gran parte della mia vita in Sicilia. Il confronto tra la cucina umbra e la siciliana è stato spesso imbarazzante. Tanto povera e magra la prima, quanto sontuosa e regale la seconda.
In Umbria, i pasti sono essenziali, asciutti, affidati da secoli a un olio morbido e alle spezie: ginepro, pepe, tartufo.
In Sicilia…oh in Sicilia, il pasto è uno status symbol, un compiacimento non solo del palato, ma degli occhi, la soddisfazione di far sentire l’ospite un principe. Nella cucina dell’isola, come nel suo dialetto, c’è una stratigrafia che rivela la storia di questa terra tanto desiderata da tutti. Greci i dolcetti dei Morti senza lievito, bizantine alcune ricette di pesce, arabi cannoli e cassate, normanni i geli (budini trasparenti a base di acqua e amido insieme agli aromi più vari); con l’arrivo dei Monsù ( da monsieur, riferito al cuoco mastro di casa) vi sono ricette da re, come il famoso timballo del Gattopardo, di cui prima o poi scriverò la mia versione.
Però confesso che, a causa del sangue umbro che mi scorre nelle vene, ho avuto attimi di smarrimento già al momento degli antipasti quando, come apertura, viene servita la parmigiana di melanzane. A me, che vengo da una casa in cui non si deve accoppare l’ospite col cibo, l’idea di un pranzo di nozze in Sicilia procura solo angoscia.
La stessa differenza è nelle case. In Umbria, accanto al medioevo sobrio ed elegante, ci sono austeri palazzi seicenteschi con infissi in pietra serena dove solo qualche voluta tradisce l’età barocca. Ci sono interni severi di pareti bianche, cotto nei pavimenti, travi a vista, mobili di legno scuro e pochi soprammobili.
In Sicilia il Barocco trionfa negli infissi lavorati a telamoni, cariatidi e mascheroni tra frutti e foglie; nei saloni lo spazio carico di affreschi è moltiplicato dalle specchiere.
Impossibile scegliere tra due mondi che sono solo due dei molti che l’Italia offre. Amo entrambe le terre, entrambe le cucine e tutte le case umbre e siciliane dove sono stata. E seguo la nostalgia ovunque vada.