Che cosa resterà di noi

Breve riflessione di natura archeologica sul destino della nostra cultura materiale:
del passato abbiamo tutto. Ma proprio tutto, tranne le stoffe, il legno, il cuoio e la carta, i materiali cioè più soggetti all’umidità tipica del clima europeo; in Egitto si conservano anche questi. Abbiamo rovine immani, statue, case, canali, frantoi e mulini, ossa, vasi pregiati e vasi poverissimi, gioielli e arnesi da lavoro. Usavano per lo più argilla e metalli e quindi ricostruiamo la vita quotidiana di tutte le classi sociali, o siamo in grado di farlo. Grazie alle analisi chimico-fisiche sappiamo le abitudini alimentari, lo stato di salute generale e l’aspettativa di vita media.

Di noi invece che cosa resterà, cosa troveranno gli archeologi del futuro, ammesso che ve ne siano? Il cemento armato sotto terra non durerà, potrà lasciare appena una polvere biancastra e un poco di ruggine; la plastica invecchia già mentre la usiamo, e in modo orrendo, con tutti quei micro graffi, l’ingiallimento dovuto alla luce; statue non ne usiamo più e nemmeno quadri; nemmeno i libri abbiamo più, né le foto, tutto ormai su cellulare o tablet, che non dureranno, essendo appunto di plastica e metalli per lo più corrodibili. Di plastica ormai anche i vestiti, si disfaranno in poltiglia anche nel cilma egiziano.

Insomma nel futuro si faranno di noi l’idea che mangiavamo ( piatti di ceramica e pentole resisteranno) e mangiavamo bene (analisi delle ossa e dei denti); che abitavamo sugli alberi,oppure in automobile o lungo le scogliere; che avevamo una scienza medica incredibilmente avanzata ( protesi dentarie, operazioni chirurgiche varie) a fronte di un’architettura e una cultura artistica e letteraria terra terra. Un dislivello che renderà un unicum nell’antropologia di tutti i tempi.

La cultura artistico-letteraria si smaterializza, Platone sarà felice.

Soluzioni costruttive

Temo che gran parte delle nostre sofferenze climatiche, almeno quando siamo al chiuso, siano di origine architettonica.

In Irlanda, per consumare meno risorse energetiche ed inquinare meno, le case di ultima generazione hanno un doppio tiraggio dell’aria in modo tale che la temperatura interna rimanga costante a 23 gradi e non sia necessario aprire le fienstre per ventilare le stanze. Accendono il riscaldamento un paio di ore al giorno e la cosa finisce lì (non so se l’ho spiegato bene, però).

In Sicilia, invece, d’estate si offrono al sole enormi facciate di cemento armato, senza un albero che le ripari, un prato che rinfreschi (ma i siciliani odiano gli alberi in città). Nessun caso negli edifici si è posto all’orientamento, anzi ha cura di esporre la cucina a sud-ovest, e così le stanze da letto. Così, quando negli annunci immobiliari si legge appartamento soleggiato, un brivido di terrore deve prenderci.

Eppure gli Arabi e i Normanni sapevano come fare, senza cemento armato e senza l’aria condizionata che a questo inevitabilmente si associa. Nella Zisa di Palermo, che era la residenza estiva dei re Normanni, i muri erano spessi, le finestre allineate una di fronte all’altra, in modo da creare una corrente d’aria e nei punti di snodo degli ambienti erano scavate nel pavimento vasche che venivano riempite d’acqua, per ottenere una corrente più fresca. http://www.ranchibile.org/scuola/dipartimenti/disarte/dl/15-16/zisa.pdf

Il tipo di cose che mi rendono molto dubbiosa del progresso della civiltà…

Olanda, ancora

I supermercati olandesi sono molto diversi da quelli irlandesi e molto simili ai nostri. Banchi enormi di freschi, in entrata; reparto alcolici ragionevole e in uscita, accanto ai detersivi; montagne di formaggi meravigliosi, come questo:

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Moltissima cucina indonesiana, in virtù delle colonie di un tempo considerata alla stregua di quella locale (invisibile, patate e carne, bunissime, in localetti da scoprire col lanternino).

Alla periferia delle città, nessun cimitero o ospedale. We are immortals, ha riso il mio amico olandese quando l’ho osservato. La morte evitata anche col pensiero, o forse ridotta alla stregua di cosa banale, da sbrigare in fretta e senza dar fastidio, peggio ancora.

Una ricchezza, una tranquillità, una pulizia di tutto, un buon gusto tali da gettare nello sconforto qualunque abitante dell’Europa meridionale. Davvero umiliante. Poi ti chiedi cosa nasconda tutto questo, quale negazione o terrore e ti ricordi della morte negata o razionalizzata.

Al Museo Van Gogh eravamo tutti non olandesi. In Italia è impossibile che nei musei non vi siano italiani, in Olanda non ci sono gli olandesi. Forse per questo lui se ne è andato. I miei ragazzi hanno chiesto di visitarlo nelle ore libere. Il museo era straordinario, grondava dolore come nessun altro posto al mondo.

Ma gli italiani, gli italiani sì, sanno come guardare un quadro, chiedete a loro, scriveva Chastel. Questo ancora nessuno ce l’ha tolto.

E io mi godo il nostro sottosviluppo.