Il complimento più bello

L’ho ricevuto oggi, in classe.

da Wikipedia , s.v.

Ho fatto vedere questa foto. Vedete ragazzi? Ha novant’anni, ma che fuoco negli occhi, che energia!

Come lei! Lei non è più una ragazza, ma magari avessimo noi la sua forza e la sua energia!

Ecco, meglio che se mi avessero detto che dimostro vent’anni. Perchè io sono come gli antichi romani che amavano farsi ritrarre con tutte le loro rughe addosso ( ancora non sono così :D)

Significava che erano forti, che ce l’avevano fatta, e che potevano quindi accedere al Senato, la carica più alta. Ecco, alla faccia di tutta la chirurgia estetica e di tutte le facce da Joker in circolazione, testimoniare che l’età porta saggezza e forza, la gioia quieta dei traguardi raggiunti, piccoli o grandi che siano, non importa, raccontare una storia che trasmetta energia perchè è una storia vera e non corretta.

Lasciateci un po’ di smart working, please

Molte cose non possono avvenire on line, siamo d’accordo; la didattica a distanza non ha lasciato traccia alcuna nei ragazzi, è stata come una mano che passa nell’acqua, non erano necessari i test INVALSi per saperlo; la didattica in presenza è fondamentale, questo è certo.

Però, però…le riunioni, lasciamole on line. Lavoro meglio. Sono più contenta se posso fumare, ebbene sì, lo confesso, fumare! durante una riunione tra colleghi; ho scoperto che posso essere molto più indulgente e paziente nei confronti delle lungaggini del lavoro pomeridiano, se posso stare a casa e, mentro ascolto, accarezzare il mio cane accucciato presso di me. E, soprattutto, se posso inquinare molto di meno questa bella terra, evitando un paio di ennesimi spostamenti e di emissioni nocive.

Smart working, cum grano salis.

Apocalypse today

All’alba, il boato del vulcano e la pioggia di terra nera in un caldo già terribile prima che sorgesse il sole.

I ragazzi che fanno gli esami, emotivamente devastati da un anno e mezzo di pandemia e Dad, piangono al termine del colloquio perchè è l’ultimo giorno nella loro scuola (io sono stata FELICE di uscire di scuola! Finalmente l’Università!).

I militari del posto di blocco, al sole sotto le nostre finestre, verso le due chiedono di usare a turno il bagno della scuola. Hanno gli anfibi, la camicia di cotone pesante, il giubbotto antiproiettile e grondano sudore. Stazionano qualche minuto in più nella portineria, per riprendersi; gli offriamo il caffè freddo, un bicchiere di latte di mandorla. Loro quasi si commuovono, bevono e tornano fuori, nell’inferno.

44 gradi, terra nera ovunque.

Gap generazionale

Alla scoperta che i ragazzi non avessero idea di Silvio Pellico, dello Spielberg e di Maroncelli, attacco una tirata come Dio comanda: com’è possibile che voi non conosciate ecc... concludendo: io quand’ero piccola ero così appassionata del Risorgimento che avevo la raccolta di figurine Panini!

Classe a disagio, un alunno, inferendo dall’esistenza di una raccolta Panini la relativa contemporaneità, come accade oggi, esclama stupito -Perchè prof, a quei tempi LEI C’ERA?

Seconda tirata mia – Come puoi pensarlo? Non era come oggi, che se esce il film di Harry Potter il giorno dopo ci sono le figurine! Ho fatto anche la raccolta dei dinosauri, cosa vuol dire, che vivevo tra i raptor? E chi sono io, HIGHLANDER????-

-prof, chi è Highlander?-

Fra noi e voi, cari ragazzi, se non conoscete Highlander, non c’è solo un gap generazionale, ci sono millenni, ere geologiche, eoni. Mi sento vecchissima.

Cuccioli

Supplenza in una prima, ragazzini appena usciti dalle scuole medie, ai quali spesso non è ancora cambiata la voce. Quando c’è supplenza, ancor prima che il docente entri, la mente dello studente è ormai settata sul Non si fa niente, inutile quindi tentare discorsi densi di contenuti. Si parla di quel che stiamo vivendo, che si è appena vissuto: il Coronavirus e il lock down. E anche quelli più baldanzosi, che cercavano la caciara, con vocette incrinate hanno mormorato: Avevo paura per i miei nonni, vivono con noi; …per i miei zii; …per mio padre, si era operato da poco al cuore…

Tenerezza infinita.

Ragazzini

Ragazzini poveri di periferia, che vorrei fossero ricordati da qualcun altro oltre me, poiché la vita già al principio gli ha già tolto tanto.

Uno di un paio di decenni fa, un alunno di mia madre quando mia madre insegnava in quartiere terribile. Aveva sei sorelle più grandi e andava a scuola con i loro vestiti smessi, perché a casa erano poverissimi, e i compagni lo prendevano in giro -camicette a fiori o con le ruches, cose del genere. Mia madre di nascosto gli portò qualche maglietta e felpe dei miei fratelli e il giorno dopo lui a scuola aveva finalmente gli abiti giusti e si pavoneggiava a torace gonfio, un vero leoncino, davanti ai compagni ammutoliti. Iniziò pure a studiare un po’.

Un altro visto una mattina su un furgoncino aperto, di quelli che usa chi fruga nella spazzatura. Era seduto su un mucchio di ferraglia e teneva alto davanti a sé, come un trofeo, un vecchio veliero della Playmobil, di certo trovato in cassonetto. Lo scafo era scolorito e ammaccato, ma lui non lo vedeva, il suo visetto era estasiato.

E infine quello che ricordo con più tristezza, un alunno di quando, per un anno, ho insegnato in una scuola di periferia. Una scuola carina, in un quartiere abbastanza tranquillo anche se povero. A novembre i carabinieri portano  un diciassettenne che non aveva terminato l’obbligo scolastico e ovviamente finisce nella mia prima. Diciassette anni di chissà che vita in mezzo ad agnellini di tredici. Era diventato la star della classe, disturbava continuamente, di studiare nemmeno a parlarne, niente libri, quaderni, penne; godeva inoltre di una salute di ferro, mai un raffreddore, un’influenzetta che lo tenesse a riguardo un paio di giorni, tanto per far prendere fiato a me a ai colleghi.

Poi una mattina chiedo al suo compagno di banco di leggere un passo del testo. Il diciassettenne sbianca in viso, si fa piccolo piccolo e sta buono per tutta l’ora. Quando la lezione finisce, si alza dal banco, mi gira intorno, poi mi tira la manica e con una vocina pietosa sussurra –A mia non mi chiedesse mai di leggiri. Nun saccio leggiri, m’affruntu- (trad. Non mi chieda mai di leggere, non lo so fare e mi vergogno). E in attimo ho visto quanta, quanta gente doveva essersi disinteressata di lui, per anni e anni; e cosa lo aspettava; l’ho preso da parte, i compagni sullo sfondo con gli occhietti curiosi -Tu devi imparare a leggere, devi, hai capito? da oggi. Aspetterò che tu impari- Risoluta a promuoverlo. Tre giorni dopo è sparito e non lo abbiamo visto più.

E ogni tanto mi chiedo se mai saprò qualcosa di questi ragazzini, che fine abbiano fatto, quali stradoni di periferia li abbiano inghiottiti, o se la vita in qualche misterioso modo sia stata poi pietosa con loro.

 

Irlanda 2018, 1

Di nuovo Dublino, in una di quelle belle giornate di sole, così  rare in Irlanda. Credo che in giorni come questo si sbrighino a fare tutte le foto per i sti turistici, per presentarsi al meglio.

Ero con i Figli in visita alla casa di Joyce e il custode ha chiesto al Figlio grande perché tanti italiani la visitassero. Perché lo studiamo a scuola, risponde lui. Il custode rimane di stucco e il Figlio piccolo aggiunge: dopo andiamo alla mostra di Yeats, studiamo anche lui.

Il custode ha vacillato e si è messo seduto, mormorando non so cosa.  Che figurone! La tanto bistrattata scuola italiana almeno serve a questo, a far stupire della cultura dei nostri ragazzi. A cosa questo serva oggi, è un altro paio di maniche 🙂. Ma a me sta bene così, che si consolino con i versi di Yeats durante i giorni bui, quelli niente al mondo potrà mai rubarglieli.

Sveglie e usignoli

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Un alunno, uno di quelli scavezzacollo che quando chiedono di uscire una è contenta, così ha cinque minuti di pace, però buono e pronto a chiedere scusa, l’altro giorno era più tremendo del solito. Parlottava, si girava, non prendeva appunti. Non potendone più a un certo punto grido

-Marco!- (nome di fantasia)

Lui salta da seduto stile fumetto, boccheggia, poi fa

-Prof che paura! Meno male che la sua voce è stata non paurosa, non lo so come dire, un po’ sveglia, un po’ usignolo..-

E io ridevo troppo per fargli una nota o per dirgli ciò che pensavo, vale a dire

-E tu, mio caro ragazzo, quando l’hai mai udito un usignolo, tu che vivi incorporato al divano davanti alla PS 4?-