Ancora sull’inglese

Impaccio terribile nel tentativo di spiegare all’amico inglese la persona e la funzione del posteggiatore.

A man who protect your car even if ….Con Totò mi sono detta desisti. E ho desistito. Il fatto è che in inglese non esiste proprio il concetto.

Ugualmente non esiste il concetto di non dare la precedenza. Al traffico ho accennato appena, sopraffatta dal problema. Lui ha capito benissimo. Ha fatto nove volte il giro di una rotonda, infine, vedendo che nessuno gli dava la precedenza pur egli avendola, ha parcheggiato e ha chiamato un taxi. Il tassista non sapeva l’inglese e l’ha lasciato a millemila km da casa mia. Per fargli far pace con la Sicilia l’ho portato mangiare pesce. E’ ancora commosso.

Pescheria

La pescheria qui è un mondo, una capsula fuori dal tempo. Sono tornata dal mandorlaio pazzo, del quale ho scritto in tempi più felici -ebbene sì, mi costringo a ripercorrere luoghi carichi di ricordi.

Gli ho chiesto se le noci sgusciate che vendeva erano italiane o americane. Lui ha rotetato e strabuzzato gli occhi, mentre diventava tutto rosso, infine ha quasi gridato – Mi..a! Italiane sugnu! Chidde, chidde sù!- e mi ha indicato un cumulo di noci col guscio, ancora col mallo rinsecchito -Fituse sembrano, ma buonissime! senza niente, senza conservanti!- e me ne ha offerto una manciata. Squisite. Le vere noci. E abbiamo parlato delle merende di una volta, di quando ero piccola, pane e noci, pane acqua e zucchero…

Poi a uno dei banchi del pesce, uno di quelli dove non ero mai stata, volevo comprare, ma non avevo abbastanza soldi. Ho fatto per andarmene e il pescivendolo mi fa -Glielo tengo da parte-

-Si fida? io vado a prelevare se lei si fida-

-Lei tornerà, signoruzza. E lo so non perchè è vestita bene- e sono tornata.

L’antica cortesia del meridione, l’antico capirsi a pelle con un’occhiata, gli ultimi deboli ruggiti di gattopardi secolari.

Un piacevole incontro

Davvero un piacevole incontro, verso le nove di stamattina. Un vecchietto che non avevo più visto dai tempi del lock down, un novantenne di quelli scolpiti nella roccia. Stava seduto fuori da una gastronomia marinara, una di quelle di qui, vicino al mare, che cucina pesce dall’alba a mezzanotte.

Arrampicato su un alto sgabello, spremeva limone sulle ostriche, godendosi il primo sole fresco di questo strano ottobre. Nemmeno il Covid l’ha abbattuto, fantastico.

L’ho salutato contenta con un cenno del capo. Davvero, la fine della pandemia.

Del sublime, 2

IMG_0574Questo mangiavano gli dei sull’Olimpo: involtini di pesce spada con granella di pistacchio all’esterno e formaggio all’interno.

Un capolavoro. Ne fanno anche agli agrumi, o al limone o alla palermitana con pomodoro e uvetta, ma questo è assolutamente il migliore. Gli involtini li vendono crudi e, a casa, un filo d’olio, 10 minuti di forno e l’ambrosia è in tavola.

Non è un piatto per il mitico Qualcuno perchè è pesce e nella mia famiglia umbra il pesce non esisteva. Fino a che non mi sono sposata sono rimasta convinta che il pesce fosse il nasello Findus al vapore, ammannito solo perchè il pediatra lo riteneva necessario.

Fukushima e tonno

radioactive-2056863_1920 Disastro nucleare di Fukushima. Una delle evenienze più temute dalla mia generazione, cresciuta durante la guerra fredda, con i fumetti sui sopravvissuti alle catastrofi nucleari e le istruzioni su come farsi in giardino un bunker antiradiazioni (ma che ci fanno votare a fare sul nucleare, noi, gente che è cresciuta così?).

In breve mi sono persuasa che il disastro di Fukushima, pur lontano, avrebbe avuto una ricaduta perniciosa su noi europei: il tonno in scatola! Mi vedevo i tonni radioattivi del Pacifico tutti belli inscatolati sugli scaffali dei supermercati italiani, pronti a contaminarci, luminescenti e malvagi  nel buio a negozi chiusi.

Poichè cerco sempre una soluzione a tutto, l’ho trovata anche quella volta. Mio marito e i Figli mi hanno sorpreso mentre stavo per acquistare on line un rilevatore di radioattività ( a un prezzo folle)

-Non verremo mai più con te a fare la spesa!– hanno tuonato alle mie spalle.

Mi sono vista con quell’aggeggio tra gli scaffali. Ho posato la carta di credito. Ma da allora di tonno in scatola ne compro pochissimo. Credo che i Figli ne consumino di nascosto.

L’italica ossessione

L’anno scorso di questi tempi, a Galway, in Irlanda.

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Un amico irlandese ci ha portato a pranzo in un locale semplice accanto al mare. Dà un’occhiata al menù, lo posa con aria desolata sul tavolo e ci guarda, come a scusarsi, aggiungendo
-Sorry, you Italians are obsessed with food, I know.. –
Punta nell’orgoglio nazionale, perchè mi sono stufata che tutti parlino dell’Italia solo per il cibo, e cercando di correggere l’impressione del nostro amico senza contar troppe frottole, me ne esco con un
-Oh no, we are also obsessed with love affairs!-
-Which is the best?-
-Both-

E subito dopo è arrivata la chowder soup, una meravigliosa zuppa di pesce, latte, patate e non cos’altro di benedizione divina, degna della tavola del miglior ristorante italiano.

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Tutti in Irlanda giurano che sia semplicissima a farsi. Internet è piena di ricette della chowder soup, e un paio ne ho provate: voi non fatelo.
Il risultato era letteralmente orrendo, nulla a che vedere con la delizia irlandese.

Ci sono cibi che si possono mangiare solo dove sono stati inventati, gli arancini in Sicilia, la bistecca alla fiorentina a Firenze, la crescia con la lonza in Umbria e la chowder soup in Irlanda.

Del pesce, dei pescatori e dei cenoni

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Non capisco molto di pesce, ma conosco i borghi marinari della mia zona e vedo su cosa poggiano i nostri cenoni a base di pesce.
Di notte vedo le lampare, sempre meno spesso; conosco un povero ragazzo che è diventato debole di mente per essersi immerso troppo a lungo e troppo in profondità alla ricerca di ricci e occhi di bue; vedo il peschereccio più grande, circondato dagli altri piccoli come pulcini la chioccia, che esce leggero all’imbrunire e torna all’alba lento e pesante, con i gabbiani che lo inseguono; al mercato del pesce il ragazzo che mi ha venduto le sarde, mi riempie felice le braccia di mazzetti di prezzemolo
-La rispettai signoruzza bedda! La rispettai!-
La rispettai, una formula arcaica, quasi normanna.
I pescatori scaricano il pesce guizzante, assonnati e stanchi, ma sempre sorridenti, sempre gentili.
Gente di mare, brava gente.
Ma io non posso mangiare quelle seppie che vengono uccise ancora vive.

Del pesce e del pescivendolo

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Comprare il pesce fresco in Sicilia è affare serio, non roba da tutti. Devi saper captare non solo la lucentezza delle squame e la vivacità dell’occhio, ma anche essere un bravo psicologo, con l’autorevolezza di un magistrato e la perizia euristica di un bravo commissario di polizia.

Il nostro pescivendolo di fiducia è andato in pensione, sostituito da un giovanotto di due metri. Vado l’altra mattina, dico Buongiorno. Lui sente tre o chiuse, capisce che non sono una nativa. Torno a casa con calamari dell’anno scorso e trance di squalo bianco spacciato per tonno.
A questo punto desisto e mando a comprare il pesce mio marito. Tra uomini siciliani ci si intende.
Lui dice Buongiorno, il pescivendolo avverte il nativo e si scambiano un’occhiata da Mezzogiorno di fuoco. Mio marito torna a casa con i principi dei calamari e Sua Maestà il Pesce Spada pescato da un’ora.
Bene, una cosa in meno che devo fare io.

NB: se volete comprare il tonno fresco il pescivendolo deve essere tuo fratello.