Un sospiro più nitido, un fruscio a terra -devono essere cadute le tue bende. La luce mattutina, che schiarisce il cielo là in fondo, ha sciolto i veli. Di certo ora mi vedi; ma se sei Eurididce, come spero contro ogni realtà di segni, riconosci in me il tuo sposo nella figura che ho, avvolto nel mantello, col berretto in capo? E se non sai chi sono, con quale oppresso cuore segui chi ignori? O non mi riconosci o non sei Euridice.
Davanti a queste domande cade il divieto di Ade. Mi volto. Contro l’oscurità ti vedo, un’Euridice divisa, mosaico di frammenti, alcuni luminosi, leggeri, di sostanza lucente e rimproverante, altri opachi, carnosi, pieni d’ombra e peso, che assalgono e divorano gli altri. Ti leggo come le note di un canto tremendo e capisco. Ciò che sei divenuta dopo la morte, il corpo di luce incorruttibile, è vinto dal corpo terreno e scuro al quale ti costringo col mio desiderio; e tanto penoso è il soccombere di quel tuo nuovo e così bello essere splendente, muto, che vedo quasi delle sbarre, dei graticci di metallo nerissimo intorno ad esso. Velocemente, dolorasamente ti accosti ai limiti che ti attendono oltre quella soglia di terra tanto vicina, le parole che confondono e non spiegano, lo spazio e il tempo, i muri intorno ad ogni cosa e cuore.
E tu non scompari. Resti immota a farti divorare dall’assunzione del corpo terreno, a lasciare che l’ombra e la carne pesante mangino la luce e la carne nuova di cui ti vestì Ade, immersa in un nuovo oblio, poggiata su una memoria e un’obbedienza che mi sono sconosciute. Muta mi guardi e nei tuoi occhi doloranti c’è l’incredulità e la vergogna che sia io, l’amato, a farti questo, a trarti fuori dalla tomba. Riportarti là fuori sarebbe ucciderti.
Il divieto di Ade era tutela, non punizione di Orfeo. Il dio sapeva che se avessi osato guardarti in morte, nel dono col quale la vita vera ci chiama a sé, non avrei più potuto condurti fuori dal Tartaro. E non posso offenderti in questo modo.
Sono io a lasciarti andare. Senza pronunciare parole l’anima mia si ritira e ti abbandona e nel ritirarsi resuscita intorno a te le bende, i veli che si allacciano da soli -un ultimo tralucere dell’Euridice nuova che riprende la signoria, poi rientri nel Tartaro. Nell’aria resta gratitudine, una sorta di benedizione. Hermes sorride.