Intendo non la più antica raffigurazione della Natività, primato disputato online da vari centri italiani, né quello di Greccio, ma quello come il nostro, con i pupazzetti di terracotta ( o anche di plastica). Il presepio popolare, quello delle nostre case.
Non è il mio campo, ma credo che potrebbe essere quello rinvenuto in contrada Occhiolà, presso Grammichele di Sicilia, almeno fino a che altri e più recenti rinvenimenti non costringano a rivedere l’affermazione.

So come è andata da qualcuno che scavava là. Si stavano mettendo in luce le case dell’abitato distrutto dal terribile terremoto del 1693, quando questa persona ha trovato tra la terra la statuetta di una pecorella. Poi un’altra. Poi un’altra ancora. Poi la statuetta di un pastore.
Ragazzi sembra quasi un presepio! ha scherzato; e subito dopo è venuta in luce la figuretta di una donna bionda inginocchiata, e di un bimbo disteso, quindi il resto dei personaggi. Era un presepio. Non sontuoso, né raffinato, ma tenero e vivace. E sicuramente ante 1693.
Il terremoto, che ha distrutto l’intera Sicilia orientale, è avvenuto l’11 gennaio, alle 13 circa. Il presepio era dunque ancora montato e si trovava sotto la rampa di scale che conduceva al piano superiore, presso un camino.
Io, che sono di radici umbre, faccio albero e presepio il 23 dicembre e il 6 gennaio li disfaccio. In Sicilia sono un outsider. Qui si fa tutto prima dell’Immacolata e si disfa ben dopo la metà di gennaio. Un umbro, con amarezza si dice: Via, è finita per quest’anno, rimbocchiamoci le maniche e ripartiamo.
In Sicilia invece si indugia nelle cose belle, non per pigrizia, ma per il rammarico di abbandonarle, di lasciarle andare. Resta ancora un po’, si mormora al Natale già trascorso. E così è giunto fino a noi il presepio di Occhiolà, e chissà quanto altro ancora.