Ode all’estratto di frutta

https://www.gruppomacro.com/blog/alimentazione-e-diete/che-cosa-e-un-estratto-di-frutta-o-verdura

Un estratto, non un succo di frutta. Ci vuole una macchina, appunto un estrattore, che separa il succo dalla fibra. A voi amici, se già non lo usate, non lo nasconderò: l’estrattore è una bestia colossale, difficile da pulire, in quanto composto da molte parti ricche di anfratti, riseghe, dentini, agganci e quisquilie varie, tali che, prima di usarlo, uno ci pensa parecchio.

Però l’estratto è buonissimo e fa davvero bene. Una Persona amatissima, reduce da una pesante chemioterapia, sta molto meglio da quando ne faccio uno al giorno. Può essere che mi illuda, può essere che i progressi siano da attribuire invece alla distanza temporale dalla fine della cura; e tuttavia mi rimane il pensiero che l’estratto contribuisca -ma lo scrivo da profana, da persona che non ha certo studiato medicina.

Vado a casaccio, non ho ricette, ma metto sempre frutta rossa (fragole, frutti di bosco, melograno); frutta arancione (melone, pesca o arancia); banane per dolcificare; un limone per impedire l’ossidazione; un pezzetto di zenzero; e poi quello che c’è.

Ci vogliono tonnellate di frutta, ma non torno indietro. Il fruttivendolo si scappella e s’inchina al mio passaggio.

Piccola storia delle arance moderne

In primis, grazie a tutti dell’affetto: Mi siete mancati. Ora va molto meglio e così..I’m back!

Piccole osservazioni su frutti che non amo molto, se non sotto il profilo decorativo. Portate in Sicilia dagli Arabi (pare), si diffusero molto poco sino al Rinascimento, perido nel quale affiorano nei dipinti, simbolo di status elevato, nel ritratto dei coniugi Arnolfini:

da Wikipedia, s.v.

o come sfondo alla Primavera di Botticelli:

da Wikipedia, s.v.

Poi, alla metà del Settecento, un medico britannico, Lind, capì che lo scorbuto, prima causa di morte dei marinai imbarcati sui grandi bastimenti, era da attribuire alla carenza di vitamina C . Arance e limoni, capaci di resistere per mesi nelle stive delle navi, divennero ricercatissimi. La Sicilia allora ne era la maggior produttrice del Mediterraneo e i proventi del commercio di agrumi resero belle le città della costa e moltiplicarono le belle ville sull’Etna.

Alla fine dell’Ottocento, solo i più ricchi in Europa potevano gustare arance e mandarini, ormai riservati agli equipaggi delle navi. Manet li raffigura sul bancone del locale più elegante di Parigi

da Wikipedia, s.v.

e il Narratore della Recherche ricorda che la duchessa di Guermantes ai suoi ospiti offriva dopo cena solo una spremuta di arance -raffinatezza suprema.

E oggi? Sparito lo scorbuto, spariti i bastimenti di un tempo, sparite da negozi e supermercati le arance migliori, che amo anch’io, quelle rosso scure, uniche al mondo perchè colorate dal terreno lavico, di varietà Moro o Sanguinello, le ho ritrovate a Londra, in forma di costosissime spremute. E quel che resta sa un po’ di decadenza.

Cibo di guerra, 5 (sconsigliato a vegani e vegetariani)

Quando Roma era città aperta, nell’inverno del ’43, ai miei nonni fu regalato un pollo, vivo. Mia madre era una ragazzina e non mangiava carne da tre mesi. La povera bestia andava dunque uccisa, su questo non c’erano dubbi. Il problema era farlo. Si provò a tirare il collo alla gallina (dai, quante volte l’abbiamo visto fare in campagna? E’ un attimo!) ma nessuno riuscì; l’animale starnazzava e correva per tutta la casa, imbrattando ogni cosa la suo passaggio. Fu convocato un consiglio di famiglia, arrivarono i cugini del nonno, provarono anch’essi a tirare il famoso collo e nessuno riuscì. Uno di loro ebbe infine un’idea. Largo tutti, faccio io, allontanate la bambina. Mise la testa della gallina dentro il cassetto della cucina, lo chiuse e girò il corpo. Il giorno dopo mia madre potè mangiare carne. Raccontava che le era sembrata buonissima e che non riusciva a saziarsene. Ma com’era andata lo seppe molti anni dopo.

Sicilianitudine, 3

Senza pretesa di completezza, da osservatrice esterna, registro arcaismi che mi incantano:

  1. il cibo arrostito in strada. Tutto, salsicce, carne di cavallo, carciofi. I fumi che offuscano la visuale in strada. Uno scontro di epoche tra graticole e automobili. si sa già chi vincerà, ma intanto io mi godo questo relitto di medioevo.
  2. gli sguardi che sono come pietre, baci o schiaffi. Occhi che comunicano tutto con forza, mi piaci/non mi piaci, sei bello/a, fammi strada, fermati, taci, parla. A dire il vero, non so se sono proprio sicilianitudine. Li ho trovati anche in Grecia, in Egitto, in Turchia. sulle rive di quel Mediterraneo di Braudel che era il mare nostrum, e  comunque un’unità, oggi come allora.
  3. le richieste di grazia gridate in strada, in certi giorni speciali dell’anno. Guardate a 6.28 questo video (tutto il video è meraviglioso): https://vimeo.com/158013412

Cibo di guerra, 4

Ovvero come la guerra modifica il valore delle cose.

In Umbria, quando i Tedeschi si ritiravano dalla linea gotica, occuparono anche i casolari più sperduti delle campagne. In uno di questi un contadino passò quei mesi dormendo seduto quasi dentro il camino, con la roncola nascosta nella giubba: davanti a lui, sul pavimento dormiva un soldato tedesco e prima di addormentarsi fissava la botola del soffitto che chiudeva l’accesso alla soffitta dei salumi. Se me chiede d’andà su lo ammazzo co’ la roncola, aveva detto il contadino alla moglie. Non accadde, ma l’avrebbe fatto di certo. Un salame, una fetta di prosciutto, quando da un anno non si avevano proteine che non fossero un po’ di latte valevano più di una vita.

E così, più a Sud, una ragazzina che scappava dai bombardamenti in città per raggiungere la zia a Roma città aperta, doveva portare con sé due valigie, una con i salumi e la farina, l’altra con l’argenteria e i ricordi di famiglia. Uscì di città, iniziava la salita, il peso era intollerabile. Lasciò la valigia delle cose preziose e arrivò a Roma, ugualmente festeggiata da tutti. Che importava ormai un po’ di metallo?

Ricordiamo, ricordate, raccontiamolo a figli e studenti cosa è stato.

 

 

Pranzo squallido e lezione d’inglese

Ok, lo ammetto, stanca delle cucinate per le feste, domenica mi sono concessa, e ho imposto a tutti, un pranzo sano e leggero, così leggero da essere triste. Ieri il Figlio minore aveva lezione di Inglese e il professore ha chiesto di descrivere l’ultimo pranzo domenicale

E sai mamma? tutti descrivevano cose buonissime e io ho dovuto confessare minestrone surgelato e pollo ai ferri…

Dì al professore di farsi gli affari suoi.

E insomma, per una volta che si sgarra, si viene subito scoperti!

Shop on line e botteghe

Da poco ho scoperto che, almeno qui da noi, andare dal macellaio o dal fruttivendolo sotto casa fa risparmiare rispetto all’equivalente nei grandi supermercati, Quindi, io che sono una fanatica dello shopping on line, ho voluto verificare se è vero anche per i generi non alimentari. Ebbene, talvolta, non sempre, è così anche per questi.

E ne sono traumatizzata. Disabituata ormai ai rapporti umani che non siano il buongiorno al corriere, come farò ad avere di nuovo a che fare con commesse che giurano mi stia bene persino un piumino bianco?

Odore di pizza

pizza-1209748_1920Foto di <a href=”https://pixabay.com/photos/?utm_source=link-attribution&amp;utm_medium=referral&amp;utm_campaign=image&amp;utm_content=1209748″>Free-Photos</a&gt; da <a href=”https://pixabay.com/it/?utm_source=link-attribution&amp;utm_medium=referral&amp;utm_campaign=image&amp;utm_content=1209748″>Pixabay</a&gt;

Il Figlio minore si è messo a dieta. Per rinforzarlo nella sua decisione, sofferta, siamo anche andati dalla nutrizionista. Sei, sette chili, poco, per la sua altezza. Quindi crackers, frutta, barrette di cereali, tutto il pacchetto. Perfetto.

Poi, l’altra mattina, entrando nella stanza, ho sentito odore di pizza. Inequivocabile. Pizza. Quando era proibito la sera prima. Mamma, no, non preoccuparti, lo so, ti stai sbagliando, sto attento…

Ieri sera, in una trattoria del centro storico per una ricorrenza familiare, una di quelle che qui chiamano Arrusti e mangia, dove buttano tutto sulla brace e poi te lo mettono nel piatto, dai carciofi alla carne di cavallo, ho sentito che i camerieri salutavano il Figlio minore: Ciao F.! Mpare, commu sì? (Amico, come stai?). Allibita: LO CONOSCEVANO!

I suoi occhi da Bambi pentito non mi faranno desistere dalla decisione: d’ora in poi nella credenza e in frigo ci sarà il vuoto pneumatico, interstellare. Se fuori non resiste, qui non troverà nulla. Poi penso a quando ci si inginocchiava dicendo Padre, ho peccato, con ben altre (forse presunte) colpe sulla coscienza, e penso che forse era meglio che sentirsi in colpa davanti alla nutrizionista. Ho anche un po’ di nostalgia…

Ode alla padella in ferro

Stanca delle padelle antiaderenti (sarà graffiata? quali sostanze starà rilasciando nei cibi? e già mi sentivo malata), ormai preda da più anni di un’Operazione Nostalgia su vasta scala, ho acquistato una padella in ferro di una nota marca francese. Ero molto dubbiosa, ma in poco tempo la crosticina dorata dei fritti, la rapidità di cottura, il sapore delle cose cucinate mi hanno conquistato.  E poi, volete mettere il piacere di usare la forchetta di metallo su una padella?

Cibo di guerra, 4

Full frame of light roasted coffee beans

Durante la guerra, miei nonni e mia madre abitavano a Roma, zona Esquilino, a un piano rialzato. Già nel ’42 il caffè non si trovava più, nemmeno al mercato nero. In casa mia nonna ne teneva una piccola scorta per quando mio nonno fosse stato sofferente con la gamba (maciullata nel corso della prima guerra mondiale). Per tutti i giorni si usava il caffè di cicoria, una sbobba orribile, raccontava, meglio niente.

E poi, Roma era ormai città aperta, quando mio nonno ebbe uno dei suoi attacchi, mia nonna fece il caffè vero. Dalla strada si levò un clamore: chi c’ha il caffè? Signò, un goccetto per amor di Dio! Senti un po’, chi è sto fortunato? Finestre subito richiuse, caffè trangugiato in fretta e così tanta paura di un assalto popolare che il resto dei chicchi fu macinato a guerra finita.