
12 Settembre
Ho udito dal mio letto salire il clamore fino ad una intensità spaventosa e poi lentamente decrescere a oriente; e il mio cuore provato dalla malattia accellerava i battiti nello spasimo di sapere cosa accadesse. Hans è giunto di corsa, con voce stridula per la gioia mi ha narrato tutto. I nostri erano nelle colline, nascosti nei boschi, come fiere, come cervi nervosi, leoni coraggiosi. L’imperatore Leopoldo, i principi, i soldati erano acquattati nelle selve a Ovest, dove i Turchi, troppo sicuri di sè, non avevano posto sentinelle. Tanto vicina la salvezza fuori delle mura, tanto profonda la disperazione all’interno -miracoli della Provvidenza, che tutto può sovvertire!
Vedo padre Marco inginocchiato nella radura, stremato dopo la preghiera alla Vergine, e i soldati entusiasmati da lui passargli accanto, correndo verso il nemico. Il terreno risuona della corsa, come un tamburo immenso. Davanti alla loro furia, appena mostrata da lungi e non esercitata, i Turchi fuggono. Non s’è quasi combattuto. Coloro che ci davano la caccia sono diventati prede, sono loro i cervi in fuga verso il Danubio. Con quale facilità tutto è accaduto! Davvero tutto è possibile a Dio, pure che un assedio tanto fiero fallisca in questo modo lieve, quasi senza combattere, senza macchiarsi di sangue le mani. Commosso e riconoscente giaccio nel letto senza più forze.
15 Settembre
Nuova recrudescenza del morbo, tre giorni di febbre alta. Come da molto lontano udivo le feste per la vittoria, il Te Deum tonante dalla cattedrale di Santo Stefano. In una nebbia fosca ho veduto mio fratello al mio capezzale che mi sorrideva tenero; e ricordo una voce nuova di là, e lui che mi tranquillizzava, mi diceva che era Kolschitzky, un amico polacco, al servizio dell’Imperatore, come molti altri suoi connazionali. Voce buona e fiera, che mi sembrò la voce di Vienna intera. Ma scrivere mi affatica e devo smettere, terribilmente grato a Dio, a tutto, a tutti.
16 settembre
Sono preoccupati per me. La mia sonnolenza è strana, perchè non ho più febbre. Ma che importa quel che mi accade, se la città è salva? Nel torpore vedo sempre quel che non ho veduto perchè malato, i Turchi fuggire sulle colline, le porte delle mura aprirsi cigolando, il sole battere sul Danubio; sento stendersi un dolce autunno e le chiese risonanti di ringraziamenti da un capo all’altro d’Europa. Davanti a questo, nulla conta la mia vita, e mi sento piccolissimo.
19 Settembre
Miglioro, per grazia di Dio. Mentre giacevo senza conoscenza padre Marco è venuto e ha mormorato una preghiera per me, presso questo letto. A questo devo la dolcezza che ha forato d’improvviso la nebbia del torpore, un abbraccio immateriale nel quale era dolce piangere e abbandonarsi, una specie di perdono immeritato. Non ancora, ripetevano le cose intorno a me, con paterna tenerezza, e acquistavano ancora, come un tempo, contorni solidi, significati usati; non ancora, e dietro ogni cosa e volto, c’era la volontà benigna di Dio che regge il mondo. Sono felice per i miei genitori, che già mi piangevano morto.
Sera. Ho conosciuto Kolschitzky. E’ allegro e bello, un degno, caro amico del mio amatissimo fratello. Per conoscerlo, io che sino a ieri non avevo quasi forze per aprire gli occhi, ho camminato fino in sala, sostenuto da Hans che ho costretto a restare con noi, sino al termine della visita, anche se era imbarazzato dell’onore e non voleva. L’assedio ha cambiato tutto e noi non dobbiamo rinnegarlo, cadere nell’antico errore, e ristabilire le divisioni antiche che tanto male hanno portato. E nella gioia di tutti al vedermi in forze sentivo l’imbarazzo per il riguardo da me usato allo sguattero; sono troppo diverso da tutti, forse davvero il convento è l’unico luogo per me.
21 Settembre
Kolschitzky dice che i Turchi hanno abbandonato insieme alle tende sacchi di chicchi neri, a centinaia. Poichè nessuno ne conosceva l’uso e tutti li sdegnavano, incuriosito egli li ha presi, quindi ha interrogato un prigioniero turco che ne ha rivelato il nome: Kaweh. E io nuovamente, al solo suono di queste sillabe, mi sono sentito sugli spalti, ancora ho avvertito quel sentimento d’unità e forza che è il patrimonio vero a me lasciato dall’assedio, il vero miracolo di padre Marco, questo sguardo non ostile sull’apparente nemico. E mentre Kolschitzky ancora narrava d’essersi fatto spiegare dal prigioniero la preparazione del kaweh, ho sentito montare in me la gratitudine verso Dio che esaudisce a tempo debito ogni desiderio, anche questo minuscolo, che ebbi d’assaggiare la bevanda, e ho chiesto che domani la si preparasse in casa nostra. Devo aver chiesto con tanta, troppa, intensità, giacchè tutti intorno hanno taciuto e mi hanno fissato, mentre udivo l’eco stridulo della mia voce echeggiare nel camino. Il capriccio d’un convalescente, avranno pensato, e non sanno, non sanno, nè posso io dire. Kolschitzky ha acconsentito, con troppa dolcezza. Domani sarà qui.
22 Settembre
Si mette l’acqua sul fuoco, al bollore vi si pone la polvere nera ottenuta triturando finemente i chicchi, quindi tre volte si alza il bricco dalla fiamma appena riprende il bollore, per il tempo necessario a placarlo. Poi si versa nel bicchiere e s’attende che la polvere nera si depositi sul fondo. Ad ogni sospensione del bollore, un più forte aroma s’alza e narra di tutto quel che ho veduto e sentito là sulle mura, quando ancora ero bambino e non sfiorato dall’angelo della morte, delle notti vaste e secche d’Arabia, che recano alle bacche la rugiada necessaria a inturgidarle, delle sabbie calde che le asciugano e corrugano, di lunghi viaggi su dondolanti cammelli, che mai vedrò, ma che ho vissuto già, grazie all’odore.
Dio con quest’aroma mi ha ricordato che non è necessario conoscere con occhi mortali e mortale corpo, poichè l’amore per Lui garantisce ben altri mezzi, e più duraturi e profondi, di conoscenza, e nulla è perduto con Lui e in Lui, ma tutto ritrovato in più vera essenza. Forse che padre Marco non ha letto nei nostri cuori, senza che noi parlassimo? E che non ho inteso l’aroma dagli spalti, non l’ho forse letto come si legge la pagina d’un libro, da esso derivando, in un attimo, una conoscenza che nessun viaggio avrebbe donato in molti mesi?
Immateriale, come quest’aroma, ciò che ci unisce fra noi e con Dio, un legame invisibile e fortissimo, che affonda radice nel materiale e da qui si slancia verso il Divino Cielo. Non più nostalgia di quel che non vedrò con questo corpo, ma rinnovato desiderio di chiudermi là dove questa conoscenza santa fiorisce senza distrazioni. Felice ho rivisto in cuore il portone del convento che m’attende -e incurante degli sguardi e consolazioni altrui, mentre il kaweh veniva versato, piangevo di commozione, gratitudine e tenerezza.
Allora mi fu posta in mano una tazza colma del liquido nero, per distrarmi e consolarmi, quando già ero risollevato e consolato. Avevo fra le mani quel che tanto e invano avevo desiderato durante l’assedio, piccola immagine della grande Restituzione che in Lui ci attende; nero come la notte, tutto concentrato in sè, privo della brillantezza che il vino possiede.
L’ho bevuto: è forza che trasmette forza, dritta al cuore come una freccia; per quanto zucchero vi si sciolga, resta amaro e duro, e così corregge, con durezza, le nebbiose illusioni della convalescenza, le pericolose debolezze alle quali le membra vorrebbero cedere. Nessuna conoscenza nuova rispetto all’aroma, solo un effetto fisico, l’azione di un tonico, che come una scudisciata mi ha sferzato e restituito il vigore sottratto dal morbo, la limpidezza di mente che il delirio aveva intorbidato. Ho udito Kolschitzky dire che vuole filtrarlo, trovando fastidiosa al palato la polvere che si deposita sul fondo e che un poco resta in bocca. Ne farà una bevanda più rapida da bere, più adatta a noi viennesi, sempre indaffarati. Io ho rammentato, con un sussulto di nostalgia, i Turchi a lungo seduti intorno al fuoco, intenti a degustare il liquido nero senza fretta, assorti in lunghe, inutili conversazioni, più di noi vicini in costumi e mente alla terra che generò le bacche nerastre, alla terra che visiterò in Dio, quando sarò dall’altro lato.
Allora, a conferma della mia decisione di separarmi dal mondo per meglio conoscerlo, e della quale ho tanto dubitato durante l’assedio, ho visto, con grande nitidezza davanti a me, come questo kaweh avrebbe dilagato in Europa, corretto secondo il nostro gusto, interpretato, simile ad alcune parole che mutano lievemente da una lingua all’altra. Come tutto ci è reso centuplicato, anche minuscole conoscenze, miserabili intuizioni! Nulla è mai perduto, è da qualche parte in nostra attesa, preparato per noi.
Ero tornato a
casa, tornato a me stesso, la prova era finita.