Un piacevole incontro

Davvero un piacevole incontro, verso le nove di stamattina. Un vecchietto che non avevo più visto dai tempi del lock down, un novantenne di quelli scolpiti nella roccia. Stava seduto fuori da una gastronomia marinara, una di quelle di qui, vicino al mare, che cucina pesce dall’alba a mezzanotte.

Arrampicato su un alto sgabello, spremeva limone sulle ostriche, godendosi il primo sole fresco di questo strano ottobre. Nemmeno il Covid l’ha abbattuto, fantastico.

L’ho salutato contenta con un cenno del capo. Davvero, la fine della pandemia.

Che cosa resterà di noi

Breve riflessione di natura archeologica sul destino della nostra cultura materiale:
del passato abbiamo tutto. Ma proprio tutto, tranne le stoffe, il legno, il cuoio e la carta, i materiali cioè più soggetti all’umidità tipica del clima europeo; in Egitto si conservano anche questi. Abbiamo rovine immani, statue, case, canali, frantoi e mulini, ossa, vasi pregiati e vasi poverissimi, gioielli e arnesi da lavoro. Usavano per lo più argilla e metalli e quindi ricostruiamo la vita quotidiana di tutte le classi sociali, o siamo in grado di farlo. Grazie alle analisi chimico-fisiche sappiamo le abitudini alimentari, lo stato di salute generale e l’aspettativa di vita media.

Di noi invece che cosa resterà, cosa troveranno gli archeologi del futuro, ammesso che ve ne siano? Il cemento armato sotto terra non durerà, potrà lasciare appena una polvere biancastra e un poco di ruggine; la plastica invecchia già mentre la usiamo, e in modo orrendo, con tutti quei micro graffi, l’ingiallimento dovuto alla luce; statue non ne usiamo più e nemmeno quadri; nemmeno i libri abbiamo più, né le foto, tutto ormai su cellulare o tablet, che non dureranno, essendo appunto di plastica e metalli per lo più corrodibili. Di plastica ormai anche i vestiti, si disfaranno in poltiglia anche nel cilma egiziano.

Insomma nel futuro si faranno di noi l’idea che mangiavamo ( piatti di ceramica e pentole resisteranno) e mangiavamo bene (analisi delle ossa e dei denti); che abitavamo sugli alberi,oppure in automobile o lungo le scogliere; che avevamo una scienza medica incredibilmente avanzata ( protesi dentarie, operazioni chirurgiche varie) a fronte di un’architettura e una cultura artistica e letteraria terra terra. Un dislivello che renderà un unicum nell’antropologia di tutti i tempi.

La cultura artistico-letteraria si smaterializza, Platone sarà felice.

Soccorso

I numeri della mia regione fanno paura. Sento il virus col fiato sul collo. Muoiono nelle case vicine.

Poi, durante una passeggiata col cane, c’è l’airone candido nell’acqua sporca e la palma che cresce quasi senza terra, nonostante tutto. Una specie di colomba di Noè -il mondo in un lampo torna ad essere un posto meraviglioso e deporre le preoccupazioni, anche per un solo istante, è un sollievo straordinario. Rientro con un sentimento di gratitudine.

Spigolature minime sulla bellezza, 4 (e ultimo)

Dunque la bellezza è potente; unitiva; non è assialità e simmetria; deve ricordare noi stessi a noi stessi. Di tutto questo possiamo discutere a lungo.

La cosa più tremendamente vera sulla bellezza che ho letto, nelle mie letture disordinate, è di uno psicologo canadese morto da pochi anni, James Hillmann. Nel libro Politica della bellezza (https://morettievitali.it/?libri=politica-della-bellezza) sostiene che molti dei nostri disagi psicologici, molte depressioni e angosce, derivano dall’assenza di bellezza nei luoghi in cui viviamo. La bellezza come cura, o come prevenzione. Noi nati per la bellezza, la cui assenza fa ammalare. I soffitti bianchi delle nostre case sono innaturali, nella migliore delle ipotesi. Un tempo si affrescavano con simboli religiosi, o cosmologici, che davano a ciascuno la percezione di essere inseriti in un ordine più vasto del singolo. Cosa che filtrava, in qualche modo, anche a chi non poteva permettersi soffitti affrescati.

In effetti, in un posto bello, non stiamo tutti meglio? Anche per parlare d’amore… https://www.youtube.com/watch?v=lwWY2Ee_MA8

Spigolature minime sulla bellezza, 3

Zevi scrive saggiamente che la simmetria e l’assialità distruggono l’arte. L’ideale è un’architettura di percorso, che si adegui al movimento degli uomini e all’uso che questi fanno dello spazio.

Verissimo. Speer, nei suoi piani per Berlino, progetta una città in cui i principi di assialità e simmetria sono condotti al punto tale da risultare agghiaccianti: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Bundesarchiv_Bild_146III-373,Modell_der_Neugestaltung_Berlins(%22Germania%22).jpg. E nelle nostre città, file di edifici tutti uguali, non differenziati in base all’uso, tali che la prigione, l’ospedale, la scuola e il cimitero risultano identici ai condomini.

Hitler è entusiasta dei piani di Speer, che si ispirano a piani napoleonici. Non sapeva, non poteva cogliere l’irregolarità meravigliosa del Foro Romano, che nella sua visita del ’38 aveva pur visto ( e mia madre ricordava con quale faccia truce e invidiosa fosse passato nei Fori gremiti di gente e illuminati da torce come nei tempi antichi; pensava a quanto Roma fosse più bella di Berlino).

Ma la bellezza è altra cosa. Non è regolarità, né simmetria. Nell’Acropoli di Atene il Partenone e l’Eretteo non sono in asse con i Propilei. Chi entra ha davanti a sé il vuoto e deve cercare, scoprire quasi, gli edifici. Perchè ci sono luoghi che non si possono toccare e questo ha a che fare con la percezione del mito, qualunque esso sia. Qui Poseidone scagliò il tridente contro Athena che offriva all’Attica l’olivo – questo non può toccarsi, l’Eretteo sorgerà qui. Qui sorgeva il primo tempio di Athena -lo rifaremo qui, dove sorgeva prima, nulla conta che i Persiani l’abbiano devastato.

Crolla la città di Catania per intero durante il terremoto del 1693, ma restano in piedi le absidi che contengono le ossa di Sant’Agata -non le toccheremo, la nuova Cattedrale sorgerà da queste absidi.

Ma noi non abbiamo più, o non vogliamo averle, radici mitologiche e quindi costruiamo quello costruiamo, roba degna solo di oblio.

Spigolature minime sulla bellezza, 2

Riferisco a memoria di letture lontane, stavolta di psicologia dell’estetica. Non cosa è bello in sé, ma perchè ci sembra bello quello che ci sembra bello.

Perchè ci piacciono il Partenone e le opere di Piero della Francesca? Perchè le proporzioni della sezione aurea, (il segmento minore sta al maggiore, come il maggiore sta all’intero, detto in maniera bruta) sono quelle del corpo umano.

E cerchiamo nei volti occhi grandi, fronte alta e denti regolari perchè sono quanto di più distante esista dai musi dei felini che predavavano i nostri antenati ominidi nella savana africana. Così, a colpo d’occhio, potevano distinguere subito che non era un predatore quello che balenava nel cespuglio.

In pratica, ci piace ciò che ricorda a noi stessi come siamo. Ma allora Mondrian? Kandisnky?

Spigolature minime sulla bellezza, 1

Cito Sofocle a memoria: La bellezza che è simile alle leggi divine per la sua potenza.

Simile, non uguale. Le si riconosce potenza, ma non forza coercitiva, o validità universalmente riconosciuta. Qualcosa di meno, ma anche qualcosa in più.

E le accosto questa, presa dall’I Ching, senza pretese di collegamenti logici: La bellezza unisce ciò che per sua natura è diviso.

Due esseri umani, divisi per natura e uniti dalla bellezza che scorgono uno nell’altro. Un essere umano incantato da un luogo, dall’opera di un altro essere.