Orfeo in Ade, 2

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Un sospiro più nitido, un fruscio a terra -devono essere cadute le tue bende. La luce mattutina, che schiarisce il cielo là in fondo, ha sciolto i veli. Di certo ora mi vedi; ma se sei Eurididce, come spero contro ogni realtà di segni, riconosci in me il tuo sposo nella figura che ho, avvolto nel mantello, col berretto in capo? E se non sai chi sono, con quale oppresso cuore segui chi ignori? O non mi riconosci o non sei Euridice.

Davanti a queste domande cade il divieto di Ade. Mi volto. Contro l’oscurità ti vedo, un’Euridice divisa, mosaico di frammenti, alcuni luminosi, leggeri, di sostanza lucente e rimproverante, altri opachi, carnosi, pieni d’ombra e peso, che assalgono e divorano gli altri. Ti leggo come le note di un canto tremendo e capisco. Ciò che sei divenuta dopo la morte, il corpo di luce incorruttibile, è vinto dal corpo terreno e scuro al quale ti costringo col mio desiderio; e tanto penoso è il soccombere di quel tuo nuovo e così bello essere splendente, muto, che vedo quasi delle sbarre, dei graticci di metallo nerissimo intorno ad esso. Velocemente, dolorasamente ti accosti ai limiti che ti attendono oltre quella soglia di terra tanto vicina, le parole che confondono e non spiegano, lo spazio e il tempo, i muri intorno ad ogni cosa e cuore.

E tu non scompari. Resti immota a farti divorare dall’assunzione del corpo terreno, a lasciare che l’ombra e la carne pesante mangino la luce e la carne nuova di cui ti vestì Ade, immersa in un nuovo oblio, poggiata su una memoria e un’obbedienza che mi sono sconosciute. Muta mi guardi e nei tuoi occhi doloranti c’è l’incredulità e la vergogna che sia io, l’amato, a farti questo, a trarti fuori dalla tomba. Riportarti là fuori sarebbe ucciderti.

Il divieto di Ade era tutela, non punizione di Orfeo. Il dio sapeva che se avessi osato guardarti in morte, nel dono col quale la vita vera ci chiama a sé, non avrei più potuto condurti fuori dal Tartaro. E non posso offenderti in questo modo.

Sono io a lasciarti andare. Senza pronunciare parole l’anima mia si ritira e ti abbandona e nel ritirarsi resuscita intorno a te le bende, i veli che si allacciano da soli -un ultimo tralucere dell’Euridice nuova che riprende la signoria, poi rientri nel Tartaro. Nell’aria resta gratitudine, una sorta di benedizione. Hermes sorride.

2 pensieri riguardo “Orfeo in Ade, 2

  1. Ciao Moki,
    ho finalmente avuto tempo di leggere per bene l’Orfeo. La prima parte l’ho trovata molto ben riuscita (in particolare la descrizione di Ade!); la seconda mi è sembrata (ma è la mia impressione) meno incisiva. Era anche più difficile, diciamocelo. Difficile all’inizio del XXI secolo credere che il meglio sia “di là”; difficile avere anche solo una pallida idea, una pallida aspettativa, rispetto a questo “di là”. Bisognerebbe averne avuto un assaggino di qua. Alcuni ce l’hanno, è indubbio. Ma diventa sempre più difficile comunicarlo.
    Buona domenica e speriamo che passi la buriana 🙂

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    1. Che piacere leggere queste osservazioni, Elelna, grazie mille! diciamo che anch’io quando scrivevo queste pagine, uan qualche nota stonata l’avevrtivo. Ma all’epoca, molto tempo fa, ero mossa da mille interrogativi sui miti greci, sul perchè un personaggio disubbidisca quando è evidente che non debba farlo.La stessa cosa che nelle favole. Mi chiedevo, in via del tutto sperimentale e poetica, per usare una parola importante, se al loro comportamento irrazionale non vi potesse essere una qualche spiegazione. (La stessa domanda mi pongo per le favole tradizionali, ma questo richiederà un post, non una risposta a un commento).
      Dici benissimo, suona ormai male, molto male, scrivere o parlare dell’Altro Lato…:) e questo per me è una perdita, alla quale non mi rassegno. Comunicare questo è davvero difficilissimo. Nemmeno il grande Lewis ce l’ha fatta. Ma tentare si deve, proprio perchè suona male. Certe volte voglio essere una nota stridente :). Grazie ancora del tempo che mi hai dedicato.

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