Vienna 1683, parte 2

Full frame of light roasted coffee beans

29 Luglio
Con Hans, tale è il nome dello sguattero mio amico, oggi siamo usciti di casa. Io non volevo, temevo che fosse male o che male sarebbe stato giudicato dal precettore e dai miei genitori, ma nel suo sguardo vi fu una tale sorpresa per la mia esitazione, che temetti, più di un castigo o d'un peccato, d'apparirgli un bambino che non può decidere alcunchè, mentre sono quasi un uomo, e sarò presto, se Dio vuole, un sacerdote, e nulla devo paventare se non la mia coscienza e il giudizio divino. In me non trovavo ragioni che mi vietassero quell'atto, inaudito, ma non cattivo. E che forse padre Marco d'Aviano non percorreva a grandi passi le strade di Vienna, pregando e confortando a gran voce, intrattenendosi con tutti, ricchi e poveri? Perchè non avrei potuto e dovuto io seguire il suo esempio?
Dunque andai con Hans.
Egli si recò sul lato orientale degli spalti, che pare conosca benissimo, a vedere, disse, se v'era bisogno di aiuto. Desidera combattere, odia i Turchi, conosce tutti gli artificieri delle mura e tutti i tipi di armi. E mentre egli discuteva con gli armigeri che bonariamente lo schernivano, io, badando a non farmi scorgere dagli ufficiali, fra i quali avrebbe potuto esservi un amico o un cugino, mi guardavo intorno, per cogliere ciò che avrebbe potuto non presentarsi più alla mia vista.
Celato da sacchi di sabbia ebbi l'agio di vedere tutto per bene, il piano ondulato verso l'Ungheria, i boschi ombrosi, le tende turche a perdita d'occhio. Quanti sono i nemici, e quanto pochi siamo noi, soprattutto diversi! Fui fulminato, terrorizzato dalla differenza. Noi e la città, solidi, compatti, stabili come le nostre spesse mura; e loro mobili, scorrevoli, come le variopinte stoffe che fanno le loro tende, dalle quali senza posa uscivano leggeri e sorridenti, quasi fossero a un gioco, non alla guerra. Hanno volti strani e scuri, straniere grida, canti stridenti, non riuscivo a fermarmi su nulla e nessuno -tutto si fondeva in un immenso animale che s'avvolgeva intorno a Vienna per soffocarla.
Credo d'essere svenuto; e dico credo, perchè ciò che accadde è che il mio corpo si sottrasse alla vista troppo spaventosa, e s'accasciò tra i sacchi, mentre l'anima restava vigile. Mi soccorsero con tenerezza e scherno leggero, ma mi rianimò non la birra, che mi fece tossire, perchè non vi sono abituato, bensì un odore nuovo, strano e penetrante, credo il medesimo che avvertii nel cortile nostro due giorni or sono. Appena riscosso ho avuto vergogna e sono fuggito, scansando le mani che si tendevano a sostenermi, seguito da Hans impaurito e contrito. Mi sono ripromesso di mostrare domani a tutti il mio coraggio.
 
5 Agosto
Sugli spalti, ogni giorno, con Hans, e pieno di rimorso: se mia madre sapesse quanto ne sarebbe addolorata! Eppure sento che è come se fossi chiamato là, come se là vi fosse qualcosa che devo conoscere o fare. Non sono più svenuto, nè il campo nemico mi è apparso ancora come un animale; fiero di me stesso, sento i soldati chiamarmi per nome. Soffro la differenza rispetto a noi che i Turchi manifestano, ma ho imparato a vedere gli elementi diversi che compongono il loro accampamento e a contemplarli con calma. Distinguo tutto, le tende dei misteriosi giannizzeri, che vengono da una vita terribile, l'accampamento riservato del Gran Visir Kara Mustafà, le tende dell'harem sorvegliate dagli eunuchi. Spio come avvolgono i turbanti, con gesti lenti e sicuri, quasi fosse un compito sacro, guardo come sellano cavalli asciutti come i loro cavalieri; ammiro, verso il campo di Kara Mustafà, il baluginio di gemme e soprattutto respiro l'odore che sovrasta ogni altro, misterioso e affascinante, acuto tanto da giungere al cervello e da farlo vigile come nell'imminenza d'un pericolo. E' un mondo tutto sbagliato secondo la nostra fede, ma quando considero i singoli volti adesso vedo uomini come i nostri, riconosco nei visi loro, nelle voci diversamente intonate, le medesime nostre espressioni, i nostri medesimi sentimenti, e avvezzato alle loro fisionomie, alle loro tinte brune, più non provo timore, ma la medesima compassione che mi ispirano i miei connazionali, tutti morituri, fragili e miserabili.
E intendo ciò che significava lo sguardo di padre Marco, che l'opposizione fra noi e loro è falsa, voluta da terrene, non divine, ragioni, che la sostanziale unità fra noi è la sola, vera realtà. Le differenze riguardano solo i desideri di potere, le fisionomie, o le costumanze, cose esterne, transitorie, capaci di suscitare in me solo curiosità. E confesso a queste pagine e ad esse soltanto, che vorrei uscire dalle mura, parlare con i Turchi, sedere con loro e capire il loro linguaggio; che vorrei conoscere tutto, ogni luogo e persona, perché gioia più grande non vi è al mondo.
 
7 Agosto
Giorni di mine, come a ricordarci che essi sono qui e non scherzano, che troppa fratellanza non è adesso possibile. Sono come bambini: vogliono le nostre cose, i nostri giocattoli, stoffe, gioielli, arredi, che strapperanno senza capire.
 
11 Agosto
Di nuovo dalle mura l'odore nuovo e caldo. I soldati mi spiegarono che si sprigiona da certi pentolini che i turchi mettono sul fuoco e tolgono per tre volte, versandone quindi un liquido che non bevono subito. Sotto l'effetto potentissimo dell'aroma vedo tutto meglio, l'opposizione e l'unità che ci dividono e legano. Confronto i colori di ciascun popolo: noi tingiamo di giallo le pareti delle case, nel tentativo di simulare quel sole che tanto poco vediamo; essi hanno nelle tende e negli abiti tutti i colori esistenti, in strisce e pannelli, tanti quante sono le terre che governano, senza timore della violenza che i contrasti fra le tinte offrono alla vista. E mi chiedo se questo non significhi altro, che noi dominiamo cercando di rendere tutto uniforme, come in obbedienza a un principio solido e imperioso, ed essi invece accogliendo le differenze in nome di quel che sia simile alla mobilità e agilità loro, forse il commercio o il denaro. Ma tale fantasmagoria di differenze è apparenza, subordinata a Colui che dispose  l'intera varietà del mondo; e da qualche parte, nascosta ma sostanziale, c'è l'unità fra noi e loro, che rende la guerra, ogni guerra, e quest'assedio, un errore atroce. Un medesimo cielo ci copre, un medesimo Padre ci ha voluto.
 
12 Agosto
E' un assedio stanco, questo, ben diverso da quelli fierissimi che il precettore l'anno passato mi fece studiare, forse per fortificarmi. I Turchi intorno alle mura, passeggiano, festeggiano, si esercitano con grida troppo selvagge per non essere simulate. L'aroma straniero che ho detto si effonde di continuo e vorrei tanto assaggiare la bevanda che lo genera.
 

3 pensieri riguardo “Vienna 1683, parte 2

  1. Cosmopolita e illuminista il tuo Adalbert. Un po’ in anticipo sui tempi. Chissà se vuol dir qualcosa che illuminismo e cosmopolitismo si diffusero quando i turchi non furono più una minaccia.
    Complimenti per la scrittura, hai un talento per il romanzo storico!

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