Nessuna vistosa autorità regale, 6

Sì, patate ovunque, Janine e dopo un anno i gatti, decine di gatti a cui dar da mangiare e bere. Come aveva fatto in Germania. L’odore era terribile, ma non potevo dirle nulla, ci teneva troppo. Più un gatto era vecchio e malato, più lei lo accoglieva. Ho cercato di di tollerare i gatti. E poi ho avuto una ricompensa, forse una prova.

Iniziavo a provare riconoscenza per quel che Anastasia creava. Per la penombra e per l’odore di terra e patate, per quel suo stare eretta e immobile al centro del soggiorno, per quel suo nascondere continuo. E’ un riposo. Un riposo che sa un po’ di morte, ma un riposo. Così un giorno le porto un sacco di patate.

-E’ bene fare scorte- le dico porgendolo. Lei si illumina. Non l’avevo mai vista così in faccia, accesa da dentro.

La sera mi saluta dal centro della camicia da notte con un calore nuovo.

La solita camicia bianca lunga fino ai piedi, chiusa al collo da un nastro. Come sempre sulla soglia della porta tra le stanze si è fermata e mi ha salutato. Restava nel suo territorio, nel cerchio di luce dell’abat jour acceso tutta la notte, il recinto invalicabile intorno a lei. Contro il cerchio della camicia candida e della luce si erano infranti tutti i miei pensieri su di lei, tutte le domande e le paure. Respinto, mi allontanavo ogni volta in punta di piedi, senza più parole, come da un altare.

Quella sera mi sono addormentato subito, stranamente. Alle tre mi sono svegliato. Il cerchio di luce dell’abat jour di mia moglie era pieno di mormorii. Parlava nel sonno, piano piano. Mi sono avvicinato per sentire, a piccoli passi senza rumore

-Batiuska, eta apasna – o qualcosa del genere

Forse è russo. Continua a parlare e non capisco. Le parole mi girano intorno, io cerco di acchiapparle e non riesco, nessun suono mi resta, solo un mormorio dolce, come se parlasse a un bambino, come uno scorrere di acqua tenera.

La mattina lei è come prima, io no. Sentire il suo russo è stata una frustata. Almeno, credo che sia russo.  Corro in Dipartimento, in biblioteca prendo una grammatica e un dizionario di russo e sprofondo in essi, lamentando di non averlo fatto prima. Segni e sillabe mi piombano addosso. Non trovo ciò che ho udito, forse ho udito male o forse non è russo, forse la separazione tra le parole non è quella che ho pensato.

La sera dopo preparo un taccuino e una penna. Resto sveglio quasi tutta la notte, seduto nel letto con la schiena poggiata a tre cuscini. Ma lei non parla, si rigira nel letto, russa per un po’. Tutto bianco e muto, come la luce, la sua camicia da notte, la carta – e l’abito di Anastasia bambina nella foto che era su tutti i giornali. E così per molte notti, durante le quali io quasi dimentico del perché sono sveglio e quasi mi abituo al dubbio e torno come ero prima, rassegnato a non sapere.  Scivolo nell’abitudine come su un’acqua placida e ben conosciuta. Facile accettare di non sapere, mentre le patate e le erbacce crescono e fanno salire l’odore di terra fino alle camere da letto.

Poi una notte, la prima notte in cui tornavo ad avere sonno e stavo per sprofondare nel torpore, lei mormora nel cerchio di luce morbida

– Maria, Maria,vniz!- è un grido disperato. Invece di svegliarla e consolarla, scrivo in fretta le sillabe. Geme come il gattino che ho visto in preda alle convulsioni, sull’asfalto dopo che una macchina l’ha investito. Poi si calma, si rigira, le coperte scivolano a terra e io posso vedere le gambe secche, con le vene viola. La copro piano.

Il giorno dopo, da Gleb, dove  tutto profumava

-E’ russo, amico mio, è russo. Maria, Maria stai giù. Eta apasna, è pericoloso-

posa il foglio e si mette una mano sugli occhi. Si riscuote come se emergesse dall’acqua

-Maria, stai giù.  E’ Ekaterinburg.-

la voce si spezza. Non può continuare, le lacrime scendono nella barbona da prete ortodosso.

Cos’è Ekaterinburg, mi chiedi…sì Janine, ricordi bene, è dove hanno fucilato gli zar e tutta la loro famiglia, e pure alcuni servitori e il padre di Gleb. I bolscevichi. Là forse Anastasia è morta. O forse è viva e io l’ho sposata.

Come avrebbe fatto a fuggire? Mentre portavano i cadaveri nel bosco per bruciarli, poiché niente doveva restare di loro e bisognava evitare che diventassero delle icone, dei santi da venerare o vendicare, un soldato, un certo Ciakovski, si sarebbe accorto che uno dei cadaveri delle ragazze respirava appena. Approfittando del buio, appena il convoglio si fermò ai margini di una radura, l’avrebbe tirato giù e nascosto tra gli alberi. Che cosa le avrà sussurrato? Taci, non un fiato, ti aiuterò. E lei aveva capito. Janine, immagina la confusione, gli ordini gridati, fate presto, presto, prima dell’alba, scavate, incediate! l’odore della carne bruciata, dei capelli strinati, e questo Ciakoski che fremeva pensando alla ragazza nascosta. Buon lavoro, compagni ritiriamoci. E Ciakovski che la porta in un’isba e paga il silenzio dei contadini con uno dei gioielli che aveva trovato nel busto di lei. Gli altri gioielli pagheranno la fuga dalla Russia, fino in Romania, e la loro vita là, fino a quando lui non fu ucciso dai servizi segreti russi. Pare che avessero avuto un figlio. Come sia arrivata dalla Romania a Berlino non si sa. Lei stava male quando la trovarono, era in un manicomio.

Sarebbe stato facile riconoscere se era lei? Bastava una radiografia, una visita dentistica. Ma lei ha visto come chi l’aveva riconosciuta per Anastasia, ritrattava, o era costretto a ritrattare. Non ha voluto sottoporsi ad alcune visita medica. Non ha voluto più parlare. Lo ha giudicato troppo pericoloso, per sé e per gli altri. E questa storia che ti ho detto l’ha narrata una sola volta. Sai, ai re basta la parola. Non devono fornire prove.

Hai sonno, vero? Nessuno come me…è la mia condanna. Come me hai avuto solo un altro, un pittore? Ah, no, era più agitato e anche più normale. Lui voleva avere successo, voleva essere famoso. E’ vero io non voglio niente, neppure te, solo certezza e pace. Hai sonno, lo vedo, non negare. Ti racconterò una favola, come ai bambini quando stanno per dormire.

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