Questa ieri era la destinazione finale: lo Stretto di Messina, dove prendere un traghetto della Caronte e raggiungere finalmente casa. Lungo la Salerno-Reggio Calabria, le solite cose: la corsia d’emergenza non ancora presente ovunque, gli autogrill terribili con i bagni sempre piu’ decadenti man mano che si va verso Sud, accanto negozietti dove fanno ottimi panini, ben superiori a quelli degli autogrill, immangiabili a 3 nanosecondi dal raffreddamento, il castello di Castrovillari, alto sopra la galleria, che ogni anno perde un pezzo senza che nessuno faccia niente.
Già mi aspettavo, dopo Gioia Tauro, il lampeggiare della cuspide nord-orientale della Sicilia tra una galleria e l’altra, che è di una bellezza incomparabile, quando invece lampeggia il cartellone Attesa di 3 ore per l’imbarco a Villa san Giovanni. Ci guardiamo con mio marito: 3 ore, si può fare, il cane sopporterà (la nostra amata Kate, come la principessa).
Qualche chilometro prima dell’uscita di Villa, la fila era ferma, a doppia corsia. L’uscita era chiusa e bisognava proseguire fino all’uscita successiva, senza incontrare autogrill, e poi si veniva dirottati su una stradina di campagna che si arrampicava verso un paesino. In cima la fila girava e tornava verso l’autostrada. Per fare questo, circa 20 km, abbiamo impiegato 3 ore e mezzo, deducendo che il cartellone quindi si riferisse al tempo di attesa nel piazzale dei traghetti. Benvenuti al Sud, dove niente funziona, ripetevo amaramente fra me e me. Noi non avevamo acqua, né cibo, e la benzina, che in condizioni normali sarebbe bastata per arrivare fino a casa e oltre, diminuiva vertiginosamente per la necessità di tener acceso il motore e avere l’aria condizionata. (alla radio di tutto questo non hanno detto nulla: diffidate dei bollettini del traffico, per favore!). Il cane era fuori di sé. L’ ho fatto scendere, tanto eravamo bloccati da 20 minuti, e facendo due passi, ho avvistato un camioncino della Protezione Civile che distribuiva bottigliette d’acqua minerale gelata. La gente si assiepava intorno e io con gli altri. Quando è stato il mio turno, non ho avuto il coraggio di chiedere un’altra bottiglia per il cane, quando le persone erano tante e le bottiglie poche. Mi stavo allontanando, risoluta a dare al cane metà della nostra acqua, quando mi sono sentita battere sulla spalla –Signò, favorite un poco d’acqua pe ‘sta povera bestia!– era uno della Protezione Civile, che aveva spaccato una bottiglia vuota e poi l’aveva riempita d’acqua, per far bere Kate. L’antica cortesia del Sud Italia, l’ospitalità greca. Benvenuta davvero, stavolta senza amarezza, solo con il sentimento di essere stata ingiusta poco prima.