Il pranzo dei morti, 15

Donna Cubitosa si avvicinò lentamente al gran letto. Le cortine erano chiuse e per terra giacevano gli abiti del marito, come la muta di un serpente. Tese la manina grassa per scostare il tendaggio e un’altra mano afferrò la sua, tirandola dentro.  E cadde sulle lenzuola candide come se facesse un tuffo in mare e in piena allegria lei e il marchese si uinirono ridendo; e ridevano delle pene inutili, del desiderio e della vita che tornavano, come sempre tornano se uno vuole, dei tradimenti sciocchi e inutili, delle sofferenze che ora, lo vedevano bene, erano un nonnulla.

Poi, dopo l’amore, il marchese, affondato tra le braccia della moglie, mormorò del suo risveglio, come da un brutto sogno.

Non era stato, no, come una torcia accesa nelle tenebre, o come il sole all’alba, bensì qualcosa di molto più radicale; non una luce dall’esterno a diradare un errore, ma più una ricostruzione rapidissima; un essere rimesso a posto pezzo per pezzo. Mentre quella sera faceva l’elogio della durata e della certezza davanti all’amico Lancia che sembrava sprofondare sempre di più nella sua sedia emanando intorno a sé buio, che spegneva la foglia oro di braccioli e schienale, aveva sentito di salire verso l’alto, insieme al calice col quale stava incitando al brindisi, e intorno c’erano bisbigli lieti e occhietti approvanti, mentre si alzavano le perdute cose e ritrovava tutto ciò che aveva creduto morto e finito. In un gran marasma aveva sentito come se qualcuno gli staccasse la testa, la ruotasse e la rimettesse sul collo, di modo tale che aveva visto sotto una diversa angolazione. O meglio, come se un architetto chiudesse una finestra su una parte e la aprisse in quella opposta: tutto era cambiato in un lampo.

E questa visione nuova di un attimo tanto l’aveva messo sottosopra che era svenuto; ritrovandosi poi nel letto con una gran forza e vita che scorreva veloce, carica di sangue, in tutto il corpo.

E quando, poco prima di Natale, nove mesi dopo nacque Salvatore, tutti fecero visita per rallegrarsi con donna Cubitosa che nel gran letto da puerpera splendeva come un sole sotto ai ricci neri, più grassoccia che mai, mentre nessuno badava al marchese seduto presso la moglie. Ma lui era contento così, perché sapeva che era giusto e la chiamava regina, baciandole la manina, e signora del mio cuore. Quando il piccolo Salvatore piangeva, donna Cettina, senza più badare al marchese, lo recava in fretta alla marchesa affinché lo allattasse, anche davanti a tutti. Gli altri quattro figli giocavano rumorosamente nelle stanze adiacenti.

Lo zio del marchese era morto per l’Immacolata, spegnendosi senza dolore nel suo letto come una candela. L’eredità che sarebbe giunta avevano deciso che sarebbe andata sulle terre di Giarratana, per rifare le canalette d’irrigazione , le case dei contadini, per lo scavo di un altro pozzo più profondo e il restauro della casa padronale.

La vigilia di Natale vennero in visita il principe Lancia, il barone di Ripasaltas e il conte d’Ingalbes, recando un dono per il piccolo. Donna Cubitosa non li vedeva dal pranzo che le aveva salvato il marito. Sembravano prosciugati, il principe pieno di rughe intorno a occhi e bocca, il Ripasaltas con un’espressione di sussiego e disprezzo, come se altre non ne conoscesse, e il d’Ingalbes magrissimo, con i vestiti che gli cadevano di dosso.

Sembrano morti, si disse donna Cubitosa stringendosi al seno Salvatore e sbirciando il marchese sorridente. Sentendo in pieno tutta la benedizione che l’aveva coperta nel periodo tremendo della malattia di suo marito, sentendo anche che doveva ringraziare con qualche offerta il Qualcuno che da Lassù li amava, pensò a cosa poteva fare per i tre gentiluomini. Per il Ripasaltas una raccomandazione al Vicerè di Spagna che lo portasse ancora più in alto a corte, visto che mai era contento della posizione che occupava, pur essendo notevolissima; per il d’Ingalbes avrebbe disposto, a vita, l’invio del pranzo e della cena che il monsù preparava per i marchesi; e per il Lancia? Per quanto cercasse in cuore, non trovava nulla che si potesse fare per lui, nulla che potesse essergli gradito o desiderato, avendo egli già conosciuto e sperimentato tutto e di tutto essendo deluso e annoiato.

E mentre sospirava di pena lasciandosi andare indietro sui guanciali, credette di cogliere negli occhi del principe fissi su di lei una luce strana, che non voleva chiamare in nessun modo.

Lui tornò ogni giorno, a orari imprevisti, e quella luce strana era sempre più forte, finchè, un mattino che il marchese era stato chiamato da Gerlando per ricevere gli amministratori e lui e lei rimasero da soli, la luce invase il letto della marchesa come un’ondata e nell’ondata c’era il principe che le si faceva addosso mormorando parole dolci, e si alzavano stoffe e si levavano panni.

Donna Cubitosa non aveva mai detto no in vita sua, se non alla morte quando il marchese era malato; e non aveva ricevuto un No l’unica volta che aveva supplicato in vita sua, quando aveva chiesto per il marito.; non conosceva il No. Restò quindi immobile e senza fiato, accogliendolo tra le braccia, come accoglieva tutto e tutti, anche i dolori che le aveva inferto il marchese, stringendolo piano con tenerezza, come faceva col piccolo Salvatore. Il principe piangeva senza singhiozzi, con lunghe lacrime che scendevano fino al collo della camicia; ma non sembrava disperato, piuttosto commosso, o liberato di qualcosa.

Da quel giorno, di tanto in tanto, il principe la visitava. Il marchese non sospettava nulla: riceveva lieto l’amico, ma non passava più notti intere a giocare a faraone, e dopo una mezz’ora di conversazione si allontanava a curare i suoi affari, a ricevere amministratori e capomastri, a visitare feudi, lasciando l’ospite alla moglie.

Gerlando e le cameriere fingevano di non vedere, solo un sorriso smorzato faceva abbassare gli occhi di Cettina, che sembrava quasi soddisfatta quando incrociava il visitatore.

Il principe arrivava cupo e pieno d’ombra; e andava via lieto. La marchesa lo accoglieva come quel giorno prima di Natale. Sorridevano sciogliendosi. Cubitosa non si chiedeva nulla, non voleva nulla, non voleva neppure dolci parole e tenere, false promesse d’amante. Capiva che lui cercava conforto e sostegno andare avanti, niente di più, e non glielo negava. Di vita lei ne aveva tanta: che gli altri attingessero.

8 pensieri riguardo “Il pranzo dei morti, 15

  1. Ciao, sono di ritorno da una vacanza senza computer (e comunque in una zona dove prendevano poco anche quelli che c’erano). Complimenti per le ultime due puntate e per tutto il racconto; l’hai chiuso benissimo, hai accompagnato passo per passo la metamorfosi del marchese aggirando elegantemente il rischio di implausibilità. Il finale di “apertura” è ottimo, evita il luogo comune della felicità troppo casalinga.
    Anche a me piace molto il cibo in letteratura e la letteratura che parla di cibo (nemmeno Proust disprezzava l’argomento, come tutto quello che attiene alla sensazione). Mi sembra un connubio felice.
    Ancora complimenti e a presto 🙂

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    1. Elena, grazie, sono felice che ti sia piaciuto. Dentro di me facevo il tifo per la marchesa, che è nata fatta così, balzata fuori davanti a me così, che non può dire no a nessuno e vuole tanta vita intorno a sé. Quindi il cibo è fondamentale. E anche l’amore.
      Quanto al cibo in letteratura, ci sono descrizioni fantastiche, e studi su questo particolare aspetto della letteratura così interessanti che un giorno ne scriverò 🙂

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