I tre gentiluomini con gioia repressa e di sottecchi guardarono il marchese mangiare l’arancino. Aveva iniziato a sbocconcellarlo; ma quando era giunto al ripieno, alla fusione di ragù, carne e spezie, i morsi si erano fatti più veloci, e quasi non masticava più, assorbendolo come una piantina riarsa l’acqua. Quando ebbe finito gli altri tirarono il fiato di nascosto. Totò iniziò a servire il maialino allo spiedo.
.Straordinario questo cibo dell’aldilà, davvero il compendio di quanto di meglio offra la terra…-sussurrò il marchese- sembra difficile che ne avremo di altrettanto buono e spirituale-
-Lasciate fare al nostro Buon Signore- replicò il d’Ingalbes –non c’è limite al suo amore-
-Vorrei restare con voi quando inizierà la punizione- e il marchese finì il vino nel calice che subito Totò riempì, secondo gli ordini ricevuti dalla marchesa: Il bicchiere sempre pieno, il piatto pure.
-Temo che non sarà possibile. Nessuno di noi quattro ha peccato allo stesso modo-
-Eppure lo vorrei proprio-
-Ecco vedete –esclamò il Lancia – forse il vostro peccato è di esser capriccioso –fate e disfate a vostro piacimento senza ascoltare leggi e ragione-
-E dunque? Che ne sarà di me, che punizione avrò?-
-Chissà- s’inserì il Ripasaltas –forse avrete da dimorare in qualche sorta di collegio, quelli in cui si mandano i figli disobbedienti. Che so, una disciplina molto rigida: sveglia alle sei, lavarsi con l’acqua fredda e, se non si rispettano le regole, in ginocchio sui ceci secchi! Stanze gelate, messe lunghissime all’alba…le solite cose-
-Oppure- intervenne il d’Ingalbes- un qualche lavoro fiaccante la volontà, come quello dei nostri segretari. Mettere in ordine carte e ricevute. Dire sempre di sì. Ordinare secondo un qualche criterio i libri-
Il marchese tentennava la testa e intanto infilzava il maialino, badando a raccogliere la crema alla carne che ne grondava. I tre amici si scambiarono sguardi esultanti.
-E voi, conte d’Ingalbes, che peccato avete? Per cosa sarete punito, e come, se mi consentite?- mormorò il marchese con lo sguardo nel piatto.
-Io?- annaspò il d’Ingalbes –Io? Ma credo…penso…-
-Orsù conte, lo sappiamo tutti quelli che siamo seduti a questa bella tavola. Avevate sempre molti desideri. Desideravate ciò che non potete avere e avete vissuto di sogni pazzi –
il Lancia pronunciò queste parole quasi supplicando. Aveva tante volte messo in guardia il d’Ingalbes dalle spese eccessive a cui si era abbandonato e tante volte era andato in suo soccorso con denari che non erano mai stati restituiti.
-Non si tratta di desideri, ma d…di obblighi. C’è un decoro, un onore da mantenere che…- quasi balbettava, la vergogna era insostenibile e tutti i commensali lo guardavano
-Allora forse sarà l’onore il vostro peccato. Non temete, noi abbiamo i nostri di peccati- lo aiutò il Ripasaltas conciliante.
Il d’Ingalbes sorrise con occhi pieni di lacrime e iniziò a descrivere il suo peggior incubo, che sarebbe poi stata la sua punizione, perché per tutti ciò che si teme maggiormente sarà ciò a cui si sarà condannati, in quanto ciascuno sa già in vita cosa si è meritato. E lui…lui sarebbe stato costretto a recarsi a una festa, Una di quelle belle feste dei padri, belle non tanto per il lusso, che pure era magnifico, ma per la conversazione che tintinnava gioiosa come cristalleria, e per le belle trovate delle toilettes delle dame, ognuna col suo proprio stile e col piacere di farne sfoggio. E sì, sarebbe andato, ma senza parrucca incipriata, e senza le belle marsine di seta confezionate dal suo sarto, senza camicia col jabot ricamato, bensì in brache e camicia di tela bigia e sporca, a piedi nudi, come uno dei suoi contadini: E tutti gli invitati avrebbero riso di lui, non in maniera evidente, questo no! Avrebbero sorriso, più che riso, accostando le teste per non farsi sentire, le dame dietro i ventagli –ma non sarebbe stato meno evidente e doloroso. Nei bei saloni dorati e affollati di dame e gentiluomini i molti specchi avrebbero riflesso e moltiplicato la sua umiliazione…Il marchese di Carabas trovò insopportabile la pietà che provava per l’amico. Smise di mangiare e provò a consolarlo
-E infine forse scoprirete, al termine della punizione, che si può vivere anche così, in brache a camicia bigia e a piedi scalzi; e sarete più ricco di prima, pur nella povertà più cupa. Credete conte, a me questa bella marsina che mia moglie mi forzò ad indossare per ricevervi pesa come se fosse un’armatura antica. E di gran lunga preferirei la povertà a certi pesi della ricchezza-
Si udì a questo punto un suono da una delle porte che conducevano verso il salone, un suono strano come una specie di singhiozzo o l’inizio di cinguettio; e subito Totò versò altro vino e battè il bastone per chiedere il pesce spada alla cannella.
Aveva singhiozzato donna Cubitosa, nascosta dietro l’uscio. Subito Gerlando le aveva passato un fazzoletto, dove soffocare il pianto: per carità di Dio, che il marchese non s’avvedesse d’essere spiato, e non capisse che era tutta un’impostura! Quindi le lacrime presero a scorrere copiose sul visetto della marchesa ed erano lacrime di gioia e gratitudine, perché tutti i suoi sogni più folli si stavano avverando, non solo di veder il marito mangiare come un cristiano e non come un uccellino ferito; ma anche di sapere qualcosa in più della sua anima, che sempre le era rimasta nascosta.
Gerlando le fece un cenno: il piatto del marchese col maialino tornava quasi intatto.
Ora c’è il pesce spada, Ora c’è il pesce spada, si ripetè in cuore la marchesa, sperando non so quale miracolo e protezione dal greco modo.
-Sapete?- disse il marchese a capo chino come se non ce la facesse a tenersi dritto – sono capriccioso ed è il mio più gran peccato, come avete ben detto. Ma ce ne è un altro collaterale, forse causa del capriccio. Il fatto è che quello che non mi piace per me è intollerabile. Non sopporto cose che non mi piacciano. Una tappezzeria, un accostamento sbagliato di colori, una comportamento volgare, uno sguardo sbagliato…mi fanno stare davvero male.-
Tutti tacevano: Totò versava il vino. E lui proseguì, con una vocetta tremante che non era la sua -Così la mia vita è stata sempre una fuga, una fuga da quel che non mi piaceva. Mi sono chiuso in bozzolo di cose belle e ho fuggito il resto…anche mia moglie, i miei figli, troppo rustici, troppo contadini. La marchesa poi…che strani gusti ha: non esita a frequentare persone di bassissimo rango. Donne e ciarlatane dell’angiporto, persino; o i contadini del suo feudo-
E donna Cubitosa ebbe una fitta al cuore, sotto il grosso seno, e sentì tutta per intero l’umiliazione di udire quelle parole in presenza di Gerlando, che serrava le mascelle –lei lo vedeva bene con la coda dell’occhio- e alzava il mento, come per resistere. Poi, soltanto poi, venne lo smarrimento: era giusto spiare simili confessioni? E come si poteva continuare avendole sentite?Tutto il futuro possibile con quella larva di marito andò in frantumi, come uno specchio colpito da una mazza. Tutto era finito e perduto. Si appoggiò alla parete e Gerlando la sostenne. Quindi senza far rumore la accompagnò nelle sue stanze.
Diventa sempre più interessante. Quale sarà la punizione per l’estetismo? Malattia inguaribile, il pesce spada dovrà fare un gran miracolo—
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Infatti questo è il punto difficile da pensare..
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