Quando Totò entrò nella sala, a piccoli passi discreti, trovò i tre gentiluomini con gli occhi brillanti e divertiti
-Favorite di annunciarci al marchese- intimò il barone di Ripasaltas e le sue parole suonarono come una dichiarazione di guerra alla follia e a ciò che rende brutta la vita.
Sale e salette sul porto tutte accese per l’arrivo di due navi dall’Oriente; vociari lontani di scaricatori e picciotti, tutto sospingeva i tre e li rendeva curiosi, timorosi e tuttavia certi della vittoria. Movimento, flusso e forza intorno a un centro divino, gridava tutto intorno a loro e li faceva sorridere.
Resi così lieti, quando Totò aprì i battenti della sala da pranzo e Gerlando s’inchinò davanti a loro, si fermarono stupiti. Ricordavano la vasta sala, ma non così, con quei girali di acanto verde e narcisi gialli alle pareti e sulla tavola, e identici sui piatti di porcellana; con quei sottopiatti dorati come soli, e quel contrasto feroce di colore, giallo e verde, ripetuto ovunque, che scuoteva per originalità e chiamava alla rivolta, alla partenza dei bastimenti, all’uscita dalla terra delle nuove piante; tutto ciò rinsaldava l’impresa che avevano in animo di compiere.
Un lieve rumore di passi, un bisbigliare sommesso d’incoraggiamento, e il marchese di Carabas fece il suo ingresso. Nulla sul volto di Gerlando rivelava la fatica tremenda di quel percorso dalla camera da letto alla sala, della vestizione, dei lunghi discorsi persuasivi della marchesa per convincere il marito e del quieto, folle mormorio di lui, così spaventoso nel suo delirio
(Un pranzo, con i vostri amici; No! non mangerò, non ho più lo stomaco; e poi sono morto chi volete che voglia vedere un morto? E quali amici poi?
I vostri, il Lancia, Il Ripasaltas, il d’Ingalbes, che morirono ier l’altro in un naufragio durante uno scontro fra pirati barbareschi e flotta trapanese: lo sciabecco che doveva trasportarli a Napoli, dal nostro caro Re, s’inabissò in un batter d’occhio, sfondato da una cannonata.
E com’è che se son morti non li ho avuti accento a me?
Chiedetelo a loro marchese, che ne so io dell’Aldilà?
E’ vero, devo chiedere a loro, chissà dove sono stati messi…mi dovrò vestire, forse.
Certo! E di tutto punto! Quale completo preferite, quello zafferano o quello verde reseda? Zafferano? Gerlando, presto! Redingote, il panciotto con i bottoni di madreperla e le coulottes con la passamaneria verdina! E la parrucca col codino! No, no, marchese, ormai l’avete detto, essi vi attendono, non potete rifiutarvi più. Dovete raccontarvi tutto. Non vorrete andare in camicia da notte!
Sì, devo sapere. Come sarà stato per loro il morire? Lieve come per me o doloroso? Poverini, in tutta quell’acqua di mare…E ci vedremo ora che siamo tutti nell’Aldilà? Mi piacerebbe rammentare con loro la vita sulla terra. E uscire magari per la passeggiata sulle mura: credo che saremo invisibili a tutti. Sì, c’è ancora un po’ di gioia in serbo per me in questa grande nebbia che la morte è…
Di tutto converserete, marchese, a tavola sarete solo voi morti; sarà la vostra cerimonia d’introduzione nell’Aldilà, credo.
Ma non è necessario mangiare, non ho fame, non posso inghiottire: dove finirebbe il cibo, se non ho stomaco? No, non vado, non mi vesto.
Ma la cerimonia di ammissione nel mondo spirituale prevede un pranzo in pompa magna. Un addio al mondo in cui si mangia, poi non vi sarà più cibo. Gli angeli vi metteranno lo stomaco al suo posto solo per questo giorno. Andate, vi aspettano)
Totò sosteneva il marchese per il gomito, seguendolo nei suoi piccoli passi faticosi. I tre nobiluomini ammutolirono, tentando di riconoscere il loro amico in quel lemure, in quella creatura grigia, fatta di quattro zeppi nuotanti in un vestito sontuoso.
Al d’Ingalbes salirono le lacrime agli occhi e per nasconderle bevve d’un fiato il bicchiere di rosolio che aveva in mano, Ripasaltas serrò i denti e il principe Lancia si precipitò a sostenere l’amico malato.
-Siete voi, siete voi- mormorava rauco il marchese. Tutti quindi si chiusero intorno al malato e vi furono istanti pieni di esclamazioni, riconoscimenti, balbettii, lacrime. Gerlando in mezzo ciò si ergeva come un faro sulla roccia flagellata dalla tempesta. Infine si sciolsero dall’abbraccio e si guardarono
-Come siete belli amici miei! E giovani…-mormorò il marchese accasciandosi a capotavola –davvero ingiusta la morte…-
-Oh, non datevene pensiero!- fece il d’Ingalbes –molto meno di quanto non si tema da vivi. Un tuffo nell’acqua profonda ed eccoci qua-
-Non fu dunque lungo e doloroso per voi?-
-No, carissimo- il principe Lancia si era asciugato le lacrime e sorrideva. Trovando scialbo quanto detto dal d’Ingalbes, lo integrò a suo talento (era da sempre così, s’abbelliva tutto, forte del suo gusto e della sua intelligenza) -Non era bello farsi riempire d’acqua, c’era un senso di oppressione, come una grande mano sul petto che premesse e premesse, ma è stato un battibaleno. Poi è arrivata subito una gran luce beata che ci ha sospinto via in avanti. E per voi, come fu?-
Il marchese fece un gesto vago, a testa bassa
-Un tedio lunghissimo, e quanto più mi annoiavo e tutto diventava grigio, lo stomaco e il cuore si consumavano, come stoffe vecchie nella liscivia. Sentivo la forza defluire. E’ stato terribile. Niente luce, neppure un pochino. Devo essere all’Inferno, credo-
-All’Inferno? Oh no, quello solo per peccatori grandissimi, che si compiacciono anche in morte di ciò che hanno fatto. Noi, amico mio, siamo solo piccoli peccatori; ricordate che ci sentivamo sempre un po’ in colpa?-
Il marchese non era convinto –Perché allora quando siete morti non vi ho incontrato, ier l’altro? Io sono morto già da quindici giorni!-
-Bevete un sorso di vino e vi spiegheremo. Ecco, bravo. Il fatto è che per noi peccatori nell’Aldilà costruito dal Buon Dio, un Aldilà che non è proprio quale la Chiesa Santissima ce lo dipinge in vita, le cose stanno diversamente-
E venne descritto quanto segue, dal principe che sempre nella loro piccola compagnia era stato il più dotato di una sorridente intelligenza che gli faceva accettare la vita con spirito ed eleganza .
Quando si muore, disse, si muore in modi molto diversi. Alcuni vedono la gran luce sospingente e chiamante, altri si spengono come candele al lumicino, piano piano. Ciò comporta un’accoglienza diversa. Chi ha visto la gran luce entra in una specie di festa dove incontra tutti i morti che l’hanno preceduto, dai re ai mendicanti; chi si spegne lentamente viene posto in un grande nebbia morbida, nella quale lentamente emergono, come conchiglie dalla sabbia, gli amici già morti. Il criterio è fondato non sui meriti, ma sul carattere del moriente; per cui l’indole delicata assapora il delicato vapor acqueo, il carattere robusto la luce violenta.
-Per sempre?- la voce del marchese tremava appena.