Prima di riportare qualche ricetta povera, di quelle per tutti i giorni, qualche nota sul contesto della Seconda Guerra Mondiale in cui sono nate.
Quando eravamo piccoli, a ogni più piccolo frammento di cibo lasciato nel piatto, nostra madre ci sgridava
-E’ che non avete fatto la guerra!-
Questo non aver vissuto la seconda guerra mondiale ci sembrava così una colpa. Chinavamo afflitti il capo sui nostri piatti, mentre iniziava la raffica di racconti sulla guerra, sempre gli stessi, e sempre diversi, perché ogni volta mamma aggiungeva un particolare nuovo, vero o falso che fosse.
-Ce l’hai raccontato! Lo sappiamo già!-
-E io ve lo racconto di nuovo!-
Mia madre, Maria Grazia detta Mimmi, durante la guerra viveva a Roma, con i miei nonni. Aveva 13 anni, le scarpe fatte col feltro dei cappelli di mio nonno, e sempre troppa fame. Una fame, proprio nel periodo della crescita, che pagò a caro prezzo nell’età adulta.
Quello che arrivava dalla campagna umbra, nascosto ai Tedeschi in qualche carro di paglia, bastava appena a non morire di fame –patate, qualche salame, farina di grano e granturco. Il nonno nell’inverno del ’43 faceva le sigarette con le foglie di noce essiccate e aromatizzate col brandy.
La fame a Roma città aperta fu terribile. Con le tessere annonarie si avevano ogni giorno solo 100 gr. di pane a testa. I miei nonni fingevano di essere inappetenti e davano il loro pane alla figlia. Niente zucchero, niente frutta o verdura.
Il 19 Luglio 1943, sotto il bombardamento americano, Mimmi che stava facendo la spesa in Piazza Vittorio, scansò la paura, la polvere, i boati e la gente le che gridava di correre al rifugio, si precipitò sulle bancarelle e riempì la sporta di pesche, susine, peperoni, pomodori.
Mia suocera raccontava che nelle città siciliane della costa, poco prima dell’arrivo degli Americani, si vedevano al mattino presto donne avvolte in scialli neri che si avvicinavano alle signore, aprivano la veste e mostravano pezzi di capretti e conigli squartati, provenienti dalle campagne all’interno, da comprare a caro prezzo.
La generazione di chi ha fatto la guerra ha insegnato ai figli a non buttare il cibo, a mangiare di tutto, ed è stata iperprotettiva, ipernutritiva. Ci ha ingozzati di fettine ai ferri, nasello al vapore e olio di fegato di merluzzo, con il risultato di farci agognare diete vegetariane. E ci ha insegnato a cucinare in modo povero, per fortuna.
Da piccola ho dovuto mangiare così tante (odiate) fettine ai ferri che da adulta ho impiegato un bel po’ di tempo prima di volerle rivedere nel piatto.
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Io fingevo di masticarle e nascondevo i bocconi nel tovagliolo per poi buttarli! ancora non le posso vedere…
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Sempre meglio di mia figlia che, per evitare le bistecchine della nonna, infilava i pezzetti nella gamba metallica e cava del tavolo della cucina.
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:D!
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…a sto punto mi vergogno quasi di dire che ero una bambina per nulla schizzinosa e che mangiavo tutto e di più senza fare storie, addirittura da venir rimproverata per l’appetito e minacciata di diventare un salame ambulante, cosa che ho poi ampiamente “espiato” come fosse una colpa raggiungendo l’estremo opposto :(. adesso che ho più o meno raggiunto un equilibrio so per certo che a ogni “guerra” storica mentale o fisica si sopravvive pensando al cibo. <3<3 buona festa tesoro!!!!
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Mi piacciono tanto le persone che mangiano tanto, soprattutto i bambini :). Mangiare è campare e a me piace tanto campare. Ed è verissimo quello che hai scritto: in qualunque guerra, di qualunque tipo sia, si sopravvive pensando al cibo. E anche all’estero, in certi posti, si sopravvive pensando che torneremo a mangiare i maccheroni 🙂
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Da piccola misi una grossa fetta di quel formaggio fatto a forma di grosso cilindro ricoperto di cera attaccato a un bullone interno del tavolo, perch mio padre non se ne accorgesse anni dopo era diventato di plastica senza neanche ammuffire. Mio padre soffri la fame nonostante fosse di campagna, non capisco numericamente quanto sia durato tutto ciò e di quanti soldati disponesse l’esercito unito, perché non erano tutti solo tedeschi e americani.
Probabilmente non dobbiamo contare solo gli anni che ci da la storia ma anche un dopo, a loro sarà sembrato infinito.
La cosa peggiore è l’impotenza di fuggire o ribellarsi, o dialogare, un po come adesso la politica va male, il pianeta peggio, l’economia per molti è in stato di guerra ma viviamo così
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E’ vero, una guerra diversa, silenziosa…
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